padre pino puglisi sfw
di Davide de Bari* - 

Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’illusione che non possiamo permetterci. E’ soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”. Sono queste, alcune delle parole del patrimonio culturale e morale che don Pino Puglisi lasciò prima di essere assassinato. Il motivo che spinse Cosa nostra ad ucciderlo era chiaro: toglieva i ragazzi alla mafia e li istruiva ai veri valori della vita. Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno. Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un’illusione che non possiamo permetterci. E’ soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani. Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa. Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”. Sono queste, alcune delle parole del patrimonio culturale e morale che don Pino Puglisi lasciò prima di essere assassinato. Il motivo che spinse Cosa nostra ad ucciderlo era chiaro: toglieva i ragazzi alla mafia e li istruiva ai veri valori della vita. Dal momento in cui arrivò alla chiesa di San Gaetano, a Brancaccio, quartiere ad est di Palermo, si rimboccò subito le mani per far fronte ai gravi problemi sociali. Don Pino si dedicò maggiormente ai giovani, affinché prendessero coscienza del significato delle parole amore e giustizia, vivendo dignitosamente del proprio lavoro; senza che qualcuno prevaricasse la vita o il diritto di nessuno. “L’obiettivo di padre Puglisi era liberare l’uomo libero vero - raccontò una sua collaboratrice, suor Carolina Ivazzo. - Non portava i bambini in chiesa a pregare, perché non era bigotto e perché nessuno l’avrebbe seguito su questa strada. Puntava invece a far capire che esiste una cultura diversa, una cultura della legalità e dell’onestà”. Nella desolazione di Brancaccio, don Puglisi mise su il centro Padre Nostro, dove aiutava i più bisognosi del quartiere, soprattutto i piccoli, affinché avessero un luogo in cui divertirsi. E’ questo che cercava di fare don Pino con i suoi ragazzi: farli divertire ed insegnare loro a conoscere se stessi e a comprendere il ruolo di ognuno all’interno della società, ciascuno con il proprio talento. E fu per questo che organizzò manifestazioni contro la mafia nelle ricorrenze degli anniversari delle stragi di Capaci e via D’Amelio, in cui vennero uccisi i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Francesca Morvillo, gli agenti delle rispettive scorte Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonino Montinaro, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. “… A questo può servire parlare di mafia - disse don Pino - parlarne spesso, in modo capillare, a scuola: è una battaglia contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi. Non ci si fermi, però, ai cortei, alle denunce, alle proteste”.In occasione del ricordo della strage di Via D’Amelio, “3P” (padre Pino Puglisi) decise di affondare una dura omelia contro i mafiosi, definendoli “animali”: “Mi rivolgo anche ai protagonisti delle intimidazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci, vorrei conoscervi e sapere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi tenta di aiutare ed educare i vostri bambini alla legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile. Perché non volete che i vostri bambini vengano a me? Ricordate: chi usa la violenza non è un uomo. Noi chiediamo a chi ci ostacola di appropriarsi dell’umanità”. Tra maggio e giugno 1993, don Pino e i suoi collaboratori ricevettero numerose minacce che non scalfirono la determinazione del prete, anche se divenne più consapevole di essere un condannato a morte; tanto che disse ai suoi collaboratori: “Il massimo che possono farmi è ammazzarmi” e “Non ho paura di morire se quello che dico è la verità”. Don Pino sapeva che Cosa nostra gli avrebbe fatto pagare il conto con la sua vita. E fu così che, quella sera del 15 settembre 1993, disse ai suoi assassini: “Me l’aspettavo” e regalò loro il suo ultimo sorriso. Don Pino, infatti, intendeva donare, non solo ai propri ragazzi, ma soprattutto ai mafiosi, un sorriso di vita, affinché anche loro potessero riprendere a vivere con amore e felicità.

*Davide De Bari, 23 anni, gruppo Our Voice Marche (Italia)

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