di Francesco Ciotti*
Il tavolo da Risiko era già pronto da tempo. Lo Stato americano, espressione della volontà di quelle otto famiglie che detengono la ricchezza di oltre 3,6 miliardi di persone (metà della ricchezza mondiale), doveva adottare un piano per estendere il dominio di pochi al mondo intero. Non siete tentati anche voi di tifare per loro?
I grandi avversari ad est (Russia e Cina) rappresentano gli ultimi territori che devono essere dominati.
Prima di arrivare a questi due Paesi bisogna conquistare il Medio Oriente, cruciale per le risorse strategiche di gas e petrolio. Il piano è stato esposto beffardamente dall’ex comandante delle Forze Nato, Wesley Clark, che nel 2007, in un’intervista nel programma “Democracy now” , ha raccontato di aver letto, nel 2001, un memorandum del Ministero della Difesa, in cui si programmava di attaccare sette nazioni in cinque anni. Nell’ordine: Iraq, Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e infine Iran.
Nel 2012, gli obiettivi erano quasi completati con l’inizio delle ostilità in Siria, attraverso il terrorismo islamico , sostenuto ovviamente dagli Stati Uniti come parte laica e moderata contro il “dittatore” Bashar Al Assad. Siamo noi ad essere troppo maliziosi? Per fortuna ci è venuto in soccorso lo stesso Wesley Clark il quale, in un’intervista alla CNN del 2015, ha affermato che il gruppo terrorista dell’ISIS era stato creato dagli amici e alleati degli Stati Uniti. Come dimenticare la foto ricordo del senatore John McCain con Al-Baghdadi e altri capi dell’ISIS, oppure la mail di Hillary Clinton all’ex consigliere di Barack Obama, John Podesta, pubblicata da Wikileaks, in cui affermava che gli alleati statunitensi, Quatar e Arabia Saudita, avevano finanziato lo stato islamico! C’era persino qualche luminare che riteneva che le infinite colonne di nuovissime Toyota blindate dei terroristi, fossero state trovate casualmente nel deserto grazie al fanatismo islamico; comprensive di clima, bluetooth, subwoofer, sistema android auto e accompagnate da armi e munizioni. Comprensibilmente, le guerre imperialiste devono muovere anche le sceneggiature dei film di fantascienza, altrimenti verserebbero in grave crisi.
Il gioco stava comunque funzionando, i terroristi dell’ISIS e Al-Nusra avevano conquistato gran parte del Paese; fino a quando, senza preavviso, la Russia è intervenuta su richiesta del governo legittimo siriano, nel settembre 2015, ribaltando in poco tempo lo scenario e garantendo la riconquista di gran parte del Paese da parte delle forze governative, con una massiccia campagna di attacchi aerei e missilistici.
Ma perché il controllo della Sira è così importante?
Tra le questioni cruciali che hanno scatenato il conflitto, vi è stata quella del gasdotto: c’era il progetto di realizzare una TAPLINE (Trans-Arabian Pipeline) che avrebbe dovuto passare per la Siria e quindi far arrivare il gas dal Qatar all’Europa. Il presidente siriano, Assad, nel 2009 ha rifiutato il progetto sostenendo che avrebbe interferito con gli interessi del suo alleato russo, il più grande fornitore di gas naturale d'Europa. Era questo, dunque, il reale obiettivo della costruzione del gasdotto: permettere al gas arabo di sostituire quello russo e indebolire economicamente la Russia, che avrebbe perduto l’export diretto con il mercato europeo. Come se l’inimicizia verso la Siria non fosse già abbastanza agguerrita nel 2010, Assad ha iniziato a trattare con l’Iran per la costruzione di un altro gasdotto, che avrebbe dovuto trasportare il gas iraniano verso il Libano; decisione che ha provocato l’ira spropositata di Israele, la cui leadership, capeggiata fin da allora dal primo ministro, Benjamin Netanyahu, era mossa da un odio viscerale verso il Paese persiano. Solo agli inizi di settembre di quest’anno, un alto ufficiale delle IDF ha confermato che le forze armate dello Stato ebraico hanno colpito oltre 200 obiettivi in Siria, contro le postazioni iraniane e degli Hezbollah; presenti sul territorio legittimamente, ben inteso, previo richiesta del legittimo governo. L’avanzata dell’influenza iraniana non fa dormire sogni tranquilli ad Israele e Netanyahu sogna ogni notte di poter conquistare il Medio Oriente, nel fragore di detonazioni e bombardamenti che inceneriscano fino all’ultimo pasdaran.
In questi casi, avere qualche amico negli Stati Uniti è di grande aiuto: la lobby israeliana ha praticamente in mano il Congresso americano; nessun candidato alla Presidenza può vincere le elezioni senza l’approvazione dell’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) , il più influente gruppo d’interesse a Washington, i cui membri comprendono democratici, repubblicani e indipendenti. In effetti, sarebbe da chiedersi la ragione per cui Trump abbia annunciato l’uscita degli Usa dall’accordo sul nucleare, stipulato da Obama con l’Iran; il perché ci sia stata, in questo mese, la decisione di tagliare tutti i fondi destinati alla popolazione palestinese e infine la motivazione del riconoscimento di Gerusalemme, “capitale” di Israele, avvenuto il 6 dicembre 2017. Tanti dubbi che resteranno, forse, eternamente insoluti.
Per allentare le frequenti sortite israeliane contro gli obiettivi iraniani in Siria, Putin ha stipulato un accordo con Netanyahu nel luglio 2018, assicurando che non ci sarebbe stata un’avanzata dell’esercito siriano verso sud nelle alture del Golan, ma, come vedremo più avanti, queste garanzie sono servite davvero a poco.
Nella situazione attuale, solo la provincia di Idlib è in mano ai tagliagole. E’ la battaglia finale, in cui a finire sarà forse il mondo intero, purtroppo, considerando il probabile scontro che la sua contesa comporterebbe tra le superpotenze. Circa 200 soldati Inglesi e americani sono bloccati nella regione, incalzata dalle truppe siriane sostenute dai russi. Sono 2000, secondo il Pentagono, i militari statunitensi assieme a 300 tedeschi e a un numero non precisato di forze francesi, a essere dislocati in tutta la Siria, occupando illegalmente il Paese e violando il diritto internazionale.
È presente anche la Turchia che, lavorando inizialmente dietro le quinte, ovvero fornendo addestramento ai terroristi che si sarebbero riversati in Siria, ha tentato in seguito di fare affari con gli stessi tagliagole nell’acquisto del petrolio siriano, estratto illegalmente. Il losco traffico a cui partecipava lo stesso figlio di Erdogan è stato rovinosamente interrotto nel 2015, con bombardamenti russi alle colonne di camion dirette in Turchia. L’ultima iniziativa del Presidente turco, per ottenere la sua fetta di torta, consiste nel conquistare i territori occupati dai curdi, considerati alla stregua di terroristi e abbandonati al loro tragico destino dagli americani, dopo essere stati utilizzati come strumento di destabilizzazione.
Nel controllo della Siria è chiaro come entrino in gioco le maggiori potenze mondiali.
Tornando alla situazione di Idlib, per giustificare l’intervento a favore dei terroristi da parte americana, serve dunque un nuovo attacco chimico condotto da Assad che impietosisca l’opinione pubblica. Ovviamente, questa volta deve essere vero, non falso come quello di Douma dell’aprile scorso, smentito dalle stesse vittime filmate nei video all’OPAC. Donal Trump, a scanso di equivoci, non si è lasciato sfuggire, secondo il Wall Street Journal, che in caso di attacco chimico non escluderebbe il bombardamento contro le forze armate russe e, logicamente, Assad non vede l’ora di provocare l’intervento americano con sostegno di Francia, Germania e Gran Bretagna. Quando inizieranno le riprese? Secondo il Ministero della Difesa russo sono già iniziate nella città di Jisr al Shugur, con una sceneggiatura che prevede aiuti alla popolazione da parte degli elmetti bianchi, dopo il presunto attacco con bombe al cloro da parte del governo siriano. Effetto sorpresa fallito?
Forse l’abbiamo scampata ancora una volta: l’attacco russo-siriano per la riconquista di Idlib è stato posticipato e il 17 settembre Putin ha siglato un accordo con il presidente turco, Erdogan, per creare una zona demilitarizzata nella provincia contesa. Purtroppo, sembra che la pace abbia stancato qualche stratega, già al riparo in un lussuoso bunker; poche ore dopo l’accordo, un attacco israeliano- francese ha provocato a Latakia la caduta di un aereo Il-20 e la morte di quindici soldati russi.
Ancora una volta, possiamo tirare un sospiro di sollievo se la risposta di Putin si mantiene calma e moderata, bollando l’accaduto come un fortuito incidente, senza minacciare belliche ritorsioni.
Nel frattempo, lo schieramento nel Mediterraneo si fa sempre più affollato.
Nei primi giorni di settembre, si sono aggiunte al raggruppamento statunitense la fregata tedesca "Oldenburg" , il sottomarino britannico “Talent”, guidato in particolare dalla portaerei statunitense, USS Harry Truman, assieme all’incrociatore missilistico “Normandy”, i cacciatorpedinieri “Aleigh Burcke, Forrest Sherman” e i sottomarini “Ohio e Virginia” con un’altra dozzina di navi.
Dalla controparte russa, abbiamo invece 26 navi da guerra, tra cui due sottomarini e 34 aerei.
E l’Italia?
Partecipa come sempre alla sudditanza del supporto logistico americano: dalla base di Camp Derby, a Livorno, sede del più grande arsenale USA all’estero, fanno scalo grosse navi americane come la “Liberty Passion” per trasportare centinaia di veicoli militari, armi e munizioni verso l’Arabia Saudita; per essere utilizzati poi in Siria e Yemen.
E noi?
Come sempre passivi, indifferenti, ignoranti, persi negli aperitivi, nei cinema, nel calcio, nei grandi supermercati e con il cervello ormai atrofizzato da stimoli di un mondo falso, idiota e ridicolo.
Vogliamo svegliarci e combattere anche noi per dire no alla guerra oppure preferiamo aspettare il glorioso selfie con un orizzonte di fuoco, stile Apocalypse Now?
*Francesco Ciotti, 26 anni, gruppo Our Voice Marche (Italia)
Foto © (Cutout Photo: Gage Skidmore / CC BY-SA 2.0)