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siani giancarlo web sfw
di Davide de Bari* -
Un giornalista d’altri tempi, un cronista d’assalto dotato di una forte integrità morale ed etica capace di raccontare i fatti senza il timore di fare nomi e cognomi. Ecco chi era Giancarlo Siani, giornalista anticamorra ucciso il 23 settembre 1985. Aveva compiuto da poco 26 anni e quella sera stava semplicemente rientrando a casa dopo una lunga giornata di lavoro tra notizie cercate in giro e pagine scritte in redazione, a "Il Mattino". Aveva appena parcheggiato la macchina (una Méhari oggi divenuta simbolo di memoria di quel giornalismo libero) quando è stato freddato da numerosi colpi d’arma da fuoco, calibro 7.65mm, esplosi da due uomini. 

Quel giovane ragazzo, privo di condizionamenti, dava fastidio per quel suo modo di essere giornalista. E’ stato il primo a raccontare la torbida realtà che stagnava, tra camorra e corruzione, a Torre Annunziata. “Una città con circa 60.000 abitanti, un apparato produttivo in crisi, oltre 500 cassintegrati e la più alta percentuale di iscritti al collocamento - scriveva lui stesso in un articolo per la rivista “Osservatorio sulla camorra - Un ottimo terreno per reclutare disoccupati e trasformali in killer”.
I primi anni Ottanta erano gli anni della guerra di Camorra dove a confrontarsi vi erano due grandi schieramenti: la nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo e le famiglie emergente formate dai Nuvoletta, Alfieri e Bardellino, affiliate alla mafia siciliana, Cosa Nostra. 
Un gruppo che per avere la meglio su Cutolo trovò un prezioso alleato nel boss di Torre Annunziata, Valentino Gionta, un camorrista in ascesa con fortissimi legami nel mondo della politica e dell’imprenditoria. Siani era riuscito a comprendere quell’intreccio affaristico che affossava le radici fino dentro all’amministrazione della cosa pubblica. In un articolo sul business del mercato ittico, il giovane cronista, descriveva così le infiltrazioni criminali: “Tra i soci delle due cooperative che lavorano al mercato del pesce, spicca un nome inquietante: Gemma Donnarumma, moglie di Valentino Gionta. È questo il modo pulito per intascare il ricavato delle attività del mercato”. E poi ancora: “con il sistema delle cooperative, Gionta aveva dato via a altre imprese di camorra. Inevitabile l’infiltrazione nel sistema degli appalti”. E’ chiaro che quella “penna” così attenta ed accurata dava fastidio. Secondo quanto stabilito dalle indagini, però, sarebbe stato in particolare un articolo ad aver sancito la condanna a morte di Siani. Il 10 giugno 1985, infatti, “Il Mattino” aveva pubblicato la sua cronaca dell’arresto di Valentino Gionta e secondo le rivelazioni del collaboratore di giustizia Ferdinando Cataldo, sarebbe stato proprio quel pezzo a decretare la morte del giornalista. In quelle righe venivano svelati scomodi retroscena dell'arresto del boss di Torre Annunziata, ipotizzando che lo stesso fosse stato “venduto” agli investigatori dal clan alleato dei Nuvoletta. Uccidere Giancarlo, per i Nuvoletta, sarebbe stato l’unico modo per cancellare l'onta di quella “offesa” e riacquistare credibilità presso i Gionta. C’è un altro pentito, Gabriele Donnarumma, che ha riferito che dietro la decisione dei Nuvoletta, di uccidere Siani, vi sarebbe stato addirittura l’ordine diretto dello “zio”, ovvero Totò Riina. “Lo “zio”- ha rivelato Donnarumma - dalla Sicilia non accettava che, nei confronti di mafiosi - tali eravamo noi ed i Nuvoletta - si dicessero cose del genere e perciò dovevamo uccidere il giornalista”.

Verità parziale e quesiti irrisolti
Per arrivare ad avere una prima verità giudiziaria sulla morte del giornalista ci sono voluti ben otto anni di processi. Per l’omicidio sono stati condannati i mandanti (Lorenzo Nuvoletta e Luigi Braccante) e gli esecutori (Ciro Cappucci e Armando Del Core) tuttavia, quella verità processuale, alla quale si è giunti con difficoltà, non ha del tutto cancellato la convinzione che dietro quell'omicidio ci fosse anche altro. Lo stesso pm Armando D’Alterio, il sostituto alla Direzione distrettuale antimafia di Napoli che nel 1994 riaprì le indagini sul caso, ha dichiarato in passato che “quell’articolo fu solo la causa scatenante dell’omicidio”. E sono molteplici le domande che restano aperte a trentadue anni di distanza dal delitto. 
Cosa voleva dire lo stesso Siani quando, secondo quanto riferito dall’ex consigliere regionale Alfonso Di Maio, all’indomani del trasferimento del giornalista alla cronaca centrale de “Il Mattino" ha affermato “adesso posso spaziare su un campo più vasto”? Di cosa avrebbe voluto parlare con il suo ex direttore de l’“Osservatorio sulla camorra”, Amato Lamberti, a cui telefonicamente aveva chiesto un incontro per parlare di cose che “al telefono è meglio non dire”? Elementi che portano a domandarsi: che cosa aveva scoperto Siani? Perché era preoccupato? E dove è finito il materiale da lui raccolto?
A tali quesiti, che restano ancora aperti, si affiancano quelli proposti dal giornalista Roberto Paolo con il libro-inchiesta “Il caso non è chiuso” (ed. Castelvecchi). Secondo le prove e le testimonianze inedite raccolte dall’autore, a premere il grilletto contro Siani non sarebbero stati Armando Del Core e Ciro Cappuccio, ma altri due ragazzi, entrambi deceduti, che lavoravano per i Giuliano. Inoltre a pianificare l’attentato non sarebbe stato solo il clan dei Nuvoletta ma anche quello Gionta e Giuliano, ognuno per un proprio interesse. Sull’omicidio del giornalista è ancora aperto un fascicolo alla Dda di Napoli di cui si occupano i pm Henry John Woodcock e Enrica Parascandalo. Indagini che proseguono nel più stretto riserbo. Quel che è certo è che dopo tutti questi anni ciò che Siani ha lasciato è un grande testamento morale proprio sulla funzione del giornalista e su che cosa significa esserlo. Una definizione impressa nelle sue stesse parole dette in un incontro nelle scuole: “La criminalità, la corruzione non si combattono soltanto con i carabinieri. Le persone per scegliere devono sapere, devono conoscere i fatti. È allora quello che un giornalista “giornalista” dovrebbe fare è questo: informare”.

*Davide de Bari, 22 anni gruppo Our Voice Marche (Italia)

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