di Davide de Bari*
La mafia e lo Stato: due schieramenti opposti, all'antitesi. Uno rappresenta il male, l'altro il bene, come raccontano le cronache del nostro Paese. Se proviamo, però, a guardare oltre scopriamo che la mafia e lo Stato hanno da sempre convissuto tramite dei patti. E la trattativa Stato-mafia parla proprio di questo. Racconta le vite di persone ai massimi livelli della classe dirigente, che hanno preferito trattare con la mafia anziché combatterla; di rappresentanti delle istituzioni che hanno innescato questo meccanismo per salvarsi la vita. Alcuni hanno umiliato i valori della propria uniforme prestandosi a lavori sporchi, altri hanno utilizzato la mafia, in comune accordo, per farsi strada nella politica.
In questa storia, c'è chi ha voluto impedire che questa “convivenza” tra mafia e Stato avvenisse ancora una volta, ma è stato spazzato via a suon di bombe. E' così che quella trattativa è avvenuta. Lo Stato è stato messo in ginocchio e la mafia è entrata indisturbata all’interno del potere. Gli uomini protagonisti di questa trattativa hanno custodito il segreto nell'omertà e per questo hanno scalato i ranghi delle gerarchie, ricoprendo alte cariche: capi dei servizi segreti, generali ecc... Purtroppo per loro, la verità è venuta comunque alla luce. A parlarne per primi non sono stati i politici, ma i mafiosi. Grazie a questo, i magistrati che si sono presi la responsabilità di ascoltarli hanno istruito un processo che, per la prima volta, ha portato alla sbarra mafiosi e uomini delle istituzioni. Per anni, quei giudici coraggiosi sono stati isolati e messi sotto pressione dagli stessi organi che avrebbero dovuto difenderli; c’è chi li ha definiti persino “eversivi”. Tuttavia, questo non ha fermato il processo, nonostante il disinteresse evidente da parte della grande stampa a riguardo, tranne l’intervento di chi ha definito il tutto una “boiata pazzesca”. La giustizia è arrivata dopo venticinque anni, il 20 aprile scorso, quando la Corte d'Assise di Palermo ha decretato quei politici: Colpevoli, colpevoli, colpevoli per aver trattato con la mafia, per aver infamato quello Stato di valori etici e morali che rappresentavano.
E oggi, abbiamo questa verità che si cerca di insabbiare nuovamente e non vuole essere vista soprattutto dalla politica. Per alcuni è una storia vecchia di cui non si dovrebbe più parlare. Ma non è vero, perché è attuale. Se lo Stato non ha il coraggio di guardare dentro sé stesso per conoscere la verità e accettarla, significa che non vuole combattere la mafia.
Anche se sono passati tanti anni, siamo ancora in tempo per conoscere la verità, perché è fondamentale che tutti sappiano ciò che è successo nei retroscena, per poter scegliere adeguatamente. Se non viviamo passivamente le cose che accadono, se lo vogliamo, noi cittadini siamo una grande potenza: abbiamo la possibilità di scegliere. Siamo noi gli artefici del destino di questo Paese, se scegliamo di conoscere e cambiare lo stato delle cose. Questo è il momento di sperare che qualcuno, parte di quello Stato che ha trattato, ci dica come siano andate le cose. C'è poco tempo, ma non è ancora tardi. Dobbiamo crederci, come hanno fatto quei magistrati; è stato proprio questo che ha fatto la differenza.
Davide De Bari, 23 anni, gruppo Our Voice Marche (Italia)*