Quando un viaggio vale più di tante parole -
di Lorenzo Capretta -
Quello che succede a Palermo è palese, si può respirare e, malgrado ciò, succede in molte, troppe, parti del mondo. 'Se siamo allenati ad osservare e a riconoscere i fatti, tutto ciò che è accaduto durante questi giorni, in questa città, deve essere esteso sempre e in ogni luogo, perché le ingiustizie sono di questo mondo e non solo della Sicilia”. Ho maturato un tale pensiero durante il viaggio a Palermo, in occasione delle commemorazioni e degli eventi di luglio, in memoria della strage di via d'Amelio, avvenuta venticinque anni fa. Condividerlo con i miei compagni di Our Voice e discuterne assieme, ci ha reso oggi più grintosi che mai.
Il viaggio è stato per me (essendo la prima volta), ma anche per i miei compagni, molto profondo ed intenso. Dico questo perché ci ha permesso di riempire i nostri spiriti di una consapevolezza nata dall'agire sul campo, dalla sperimentazione in maniera concreta di quello che ogni giorno urliamo a squarcia gola, dall'incontro con i magistrati e con i giornalisti che danno la vita sia per noi sia per la verità.
“Venticinque anni e ogni anno siamo in via d'Amelio per impedire quei funerali di Stato che la nostra famiglia rifiutò fin dal primo momento; per impedire che degli avvoltoi arrivino in via d'Amelio portando i loro simboli di morte, per accertarsi che Paolo sia veramente morto”. Salvatore Borsellino, con queste testuali parole, ha manifestato tutto il suo disgusto e dissenso nei confronti di uno Stato che non vuole trovare la verità né rendere giustizia a tutte le vittime di mafia.
Le dichiarazioni del magistrato Nino Di Matteo, espresse durante la conferenza del 17 luglio all'Università di Giurisprudenza di Palermo, echeggiano nei nostri cuori come un mantra, per ricordarci che dobbiamo prendere esempio da uomini giusti come lui: “Da parte mia, con umiltà, ma spero con tenacia e ostinazione, continuerò ad impegnarmi per cercare tutta la verità, a qualsiasi costo. Solo così continuerà ad avere un senso la speranza che le idee, la passione, il senso profondo dello Stato e l'amore per questa terra di Paolo Borsellino, continuino a vivere oggi e in futuro; solo così potremo tutti insieme spezzare questa insopportabile cappa di silenzio, rassegnazione, conformismo e opportunismo che sta intossicando la nostra democrazia e libertà”.
Era presente anche il padre di Claudio Domino, Antonio, un uomo che ha colto il vero significato del termine rivoluzione, che ha deposto la rabbia fine a se stessa per trasformarla in un grido di battaglia dalla tenacia e determinazione ineguagliabili; permettendoci di gridare al suo fianco il 19 luglio in via d'Amelio. Riporto le sue affermazioni: “Se lo Stato italiano, con tutto il suo apparato investigativo, di magistratura e ciò che comporta (servizi segreti e deviati), non è riuscito ancora a dare una risposta al popolo italiano per quanto riguarda la verità riguardo i suoi due figli che hanno tracciato il percorso della legalità, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, la mia domanda è: se loro sono vittime di 'serie A' , noi che siamo i famigliari delle vittime di 'serie B' ,quali speranze abbiamo di avere giustizia e verità?”. E ancora: “I giovani sono la speranza del futuro. I giovani devono riprendere quello che stanno perdendo. La mia generazione deve chiedere scusa perché non è stata in grado di garantire loro ciò che oggi è il presente e domani sarà il futuro. Essi non si devono sentire soli, non lo sono, hanno degli angeli davanti come Falcone, Borsellino, Montana e tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per giustizia. Noi, che ormai abbiamo raggiunto una certa età, dobbiamo sostenere i ragazzi perché loro devono prendere il posto di queste due, tre, quattro, cinque, cento persone che occupano indegnamente quei ruoli, le devono sostituire e cacciare via non con il mitra e le pistole, ma con una rivoluzione culturale! Con la cultura, con la penna, con l'organizzazione, perché anche il futuro di noi vecchi è nelle loro mani. Dico ai ragazzi: andate avanti, non siete soli, noi stiamo ponendo nelle vostre mani il nostro futuro”.
La rappresentante di Our Voice, Sonia Bongiovanni, accompagnata dalla coordinatrice del nostro gruppo in Friuli Venezia Giulia, Beatrice Boccali, è intervenuta subito dopo confermando le parole di Domino e lanciando il seguente messaggio: “Noi ringraziamo di cuore per questo appello, ci sentiamo onorati di essere qui oggi, vicino alla famiglia Domino, vicino a Salvatore Borsellino e a tutti i parenti delle vittime di mafia. Sono loro che ci spingono a fare questa lotta. Noi vogliamo mandare un messaggio soprattutto ai giovani, vogliamo spingerli ad iniziare a lottare. Vogliamo ribellarci attraverso una rivoluzione culturale che parta dai giovani. Questi esempi, che sono per noi fondamentali, ci insegnano ogni giorno i valori, gli stessi che ci hanno lasciato Falcone, Borsellino e tutte le vittime di mafia. Il nostro messaggio è dire che non è impossibile. Possiamo cambiare qualcosa in questa società e dobbiamo iniziare a farlo, muoverci combattendo per i giusti che oggi vengono lasciati soli dalle istituzioni. Non possiamo accettare che la mafia sia ancora all'interno dello Stato e costituisca un problema che coinvolge il nostro Paese e tutto il mondo. La voce dei giovani conta, quindi iniziamo!”.
Il movimento Our Voice si sta facendo portavoce di tutte le testimonianze trasmesse inquesto viaggio. Ci stiamo rendendo conto che non possiamo rimanere immersi all'interno di “bolle” fatte di parole e pensieri, perché solo i fatti concreti ci permetteranno di informare, coinvolgere e realizzare tutti i nostri obiettivi.