Dall’Unione Europea all’ONU, passando per Malta e Italia: i maggiori responsabili della situazione in Libia
Di Eya Djelassi e Thierno Mbengue
Da che se ne ha memoria la Libia è sempre stata la via più utilizzata dai migranti provenienti dal continente nero per raggiungere l’Europa.
Un territorio che con il passare degli anni e l’aumentare dei migranti in transito ha vissuto numerosi cambiamenti politici, economici e sociali: nonostante ciò, ancora oggi non si riesce ad intravedere alcuna speranza.
Basti pensare infatti, a ciò che sta accadendo in questo esatto istante ai rifugiati che sono stati arrestati poche settimane fa, o al numero delle morti avvenute sulla rotta migratoria in questo anno per causa dei mancati salvataggi, oppure, peggio ancora, alle torture e violenze subite da donne e bambini nei centri di detenzione.
Di fronte a ciò, è impossibile non tenere conto del fatto che tutto quello che sta avvenendo in Libia è anche il frutto dell’operato di enti appositamente istituiti dall’ONU come l’UNHCR, di accordi stipulati dal governo italiano e dell’operato marittimo maltese, in quanto i mancati interventi nelle zone sar da parte della guardia costiera maltese spesso provocano i naufragi delle imbarcazioni con a bordo i migranti.
In questo scenario tragico le nazioni continuano a non assumersi le proprie responsabilità e i migranti a vivere le conseguenze della crudeltà dei governi europei come Malta e Italia. Quest'ultimi pochi giorni fa sono stati trascinati davanti alla corte dell’AJA, per la complicità nelle torture che da anni hanno luogo in Libia.
Continuano i crimini contro i rifugiati
Nell'ultimo periodo la situazione dei rifugiati e richiedenti asilo intrappolati in Libia, è aggravata in maniera drastica.
Non cessano infatti le testimonianze e i racconti su ciò che stanno subendo i migranti nel territorio libico.
Dal raid di inizio ottobre, la situazione è degenerata raggiungendo il culmine nei primi giorni di gennaio.
La notte tra il 9 e il 10 gennaio, in cui le Forze armate libiche, con un cruento e violento intervento, hanno posto fine alle proteste e ai presidi che si susseguivano da ormai diversi mesi davanti alla sede dell’UNHCR, a Tripoli.
Le improvvisate tende dei manifestanti sono state date alle fiamme e i loro corpi brutalmente massacrati perché rivendicavano, da una parte, il proprio legittimo diritto alla ricollocazione in paesi sicuri (c.d. resettlement) e dall'altra chiedevano di non essere abbandonati dall'Agenzia dell'ONU competente in materia di tutela dei rifugiati, che ha per lungo tempo operato attraverso l’ente UNHCR.
Le autorità libiche, d'altro canto, avevano invece giustificato l'operazione come necessaria, sul piano della sicurezza, per contrastare la migrazione illegale e il traffico di sostanze stupefacenti.
Si contavano più di 600 migranti catturati, arrestati e poi rinchiusi nei centri di detenzione.
I raid avevano colpito trasversalmente tutti i migranti e non avevano risparmiato neanche bambini, donne (molte delle quali incinte) e anziani.
Chi invece era riuscito a fuggire, si ritrova oggi costretto a vivere con il costante terrore di essere intercettato e quindi inevitabilmente ucciso.
"Ho paura che mi possano uccidere una volta arrestato. La Libia non mi vuole; alle milizie non piace ciò che faccio e l'UNHCR non mi vuole proteggere. Adesso la mia vita è a rischio".
Queste le parole pronunciate di recente da David Olaver, un giovane migrante attivista che aveva manifestato in un breve video la reale preoccupazione di essere ucciso dalle autorità libiche perché denunciatore degli atroci trattamenti a cui sono sottoposti i rifugiati in Libia.
La responsabilità degli enti internazionali
La causa principale degli ultimi avvenimenti era riconducibile al fallimentare operato dell'UNHCR in Libia.
Quest'ultima era stata accusata di non aver adempiuto correttamente ai propri doveri: non aveva saputo garantire protezione e assistenza ai rifugiati e richiedenti asilo presenti sul territorio libico.
Secondo l'organizzazione "Refugees in Libya", l'Agenzia stessa avrebbe attutato una serie di manovre volte a contrastare gli interessi legittimi dei migranti schierando, inoltre, le proprie milizie per attaccarli fisicamente.
Nei mesi precedenti, continuando a rifiutarsi di prestare assistenza sanitaria e dare un luogo sicuro ai migranti, che ormai da settimane erano accampati davanti alle porte della propria sede, l'UNHCR era arrivata a minacciare di chiudere ufficialmente i propri uffici e rimuovere la propria bandiera dall'edificio. Alla fine, così è stato: l'unica e ultima fonte di salvezza dei migranti era venuta meno.
Era stata proprio la chiusura della sede a Tripoli ad autorizzare le milizie libiche a compiere una serie di rastrellamenti ai danni dei manifestanti.
L'inferno in Libia si era scatenato e le immagini che riportavano l'inaudita ferocia inflitta, ricordano la disumanità che dilagava in Europa ai tempi di Auschwitz.
I centri di detenzione, dove migliaia di migranti sono stati rinchiusi, non sono altro che luoghi infernali di prigionia indefinita, caratterizzati da condizioni inumane e degradanti. In questi spazi dominano la sospensione dei diritti umani e la sistematica inflizione di torture e atrocità.
Nonostante l'ONU avesse garantito, da un lato, di trovare una soluzione alle problematiche delle persone accampate e dall'altra, la cessazione della continua inosservanza dei diritti umani da parte delle forze libiche, resta inammissibile la decisione dell'UNHCR di aver posto fine alle proprie attività in loco, causando così di fatto il raid che ha portato ad un ulteriore aggravamento delle condizioni di vita dei migranti in Libia.
Crimini in Libia: Italia e Malta davanti alla corte dell'AJA
Era di pochi giorni fa la notizia che un team legale, composto da giuristi di 3 diverse ONG, avesse depositato presso la Corte penale dell’AJA un imponente e importante esposto in cui si ricostruiscono tutti i passaggi della filiera della tortura e si denunciano gli abusi sui migranti in Libia.
Secondo gli esperti, davanti alla Corte penale internazionale questa volta dovrebbero essere trascinati le figure di spicco delle autorità libiche e dei loro presunti complici: Italia e Malta.
In capo alle autorità italiane e maltesi sorgerebbe una responsabilità penale internazionale poiché, con il proprio sostegno decisivo fornito alla guardia costiera libica, si individuerebbe una forma di collaborazione nei crimini commessi contro i migranti.
Dal 2017 il Governo italiano è stato infatti ideatore di un piano di sostegno alla Libia che prevedeva una serie di azioni quali: la fornitura di risorse, attrezzature, strumenti e mezzi, il loro mantenimento e l'addestramento delle Forze libiche coinvolte nelle operazioni di intercettazione e cattura dei migranti nelle acque internazionali.
Secondo il dossier i funzionari di Italia e Malta «hanno agito in maniera coordinata con la guardia costiera libica nelle operazioni di recupero dei migranti per garantire che essi fossero intercettati e riportati in Libia»
Il fatto che, nonostante diversi funzionari politici della diplomazia italiana siano pienamente consapevoli delle diverse denunce e accuse in riferimento alle innumerevoli e sistematiche violazioni dei diritti umani, non abbia portato alla decisione di porre fine a tali accordi palesa un'ulteriore aggravante per il coinvolgimento dell'Italia nei crimini commessi sulla pelle dei migranti in Libia.
Infatti, si ribadisce che per inquadrare sul piano normativo la responsabilità delle autorità italiane non vengano richiesti "il dolo o l’intenzione di commettere il reato, ai sensi dello statuto della Corte Penale internazionale, ma solo la consapevolezza dell’intenzione del gruppo di commettere tale reato"
L'edificazione di questo sistema aveva solo un obiettivo: diminuire drasticamente l'arrivo dei migranti sulle coste italiane e ricostruire gli storici rapporti tra i due paesi. L’importanza della finalità ha fatto sì però che non venissero presi in considerazione i mezzi utilizzati dal governo libico per raggiungere il traguardo.