Di Sara Innocente
“La legge contro la violenza di genere è pioniera. Adesso dobbiamo concentrarci su un patto di Stato contro il maschilismo. Questo flagello è ancora visibile”. Queste le parole di Amparo Rubiales, ex politica del partito Socialista di Zapatero nei primi anni 2000.
La lotta spagnola alla violenza di genere prese vita nel 1997, quando Ana Orantes venne uccisa poco dopo aver denunciato in diretta televisiva le violenze del marito. Il femminicidio di Ana fu così scandaloso che scatenò un dibattito pubblico, culminato poi nella ley orgànica del 2004: una delle leggi più avanzate di tutta Europa per il contrasto alla violenza di genere. Viene affrontata non solo da un punto di vista legale, ma anche da un punto di vista strutturale: infatti l’idea di base è che la discriminazione di genere sia un problema strutturale, radicato nella società e nella cultura di massa. Così, per cercare di contestarlo, la Spagna sta cercando di sensibilizzare i cittadini, promulgare leggi più avanzate, creare tribunali speciali e una rete di assistenza completa per tutte le vittime di violenza di genere e regolare il campo pubblicitario, promulgatore di un’immagine discriminatoria e sessualizzata della donna. Nelle scuole si fanno ore di lezioni sulla storia del femminismo, sulla violenza di genere e sulla prevenzione degli stereotipi discriminatori. Avvocati, assistenti sociali, psicologi, unità forensi e mediche specializzate sono a disposizione per le vittime.
Nel frattempo in Italia le discriminazioni e le violenze aumentano, i femminicidi l’ anno scorso hanno toccato numeri inquietanti: più di 100 donne uccise. I giudici e avvocati persistono a non essere abbastanza formati, non vengono stanziati finanziamenti sufficienti ai centri antiviolenza, manca una “filiera organizzata” e un’organizzazione istituzionale e comunicativa che faccia lavorare insieme i vari apparati dello Stato: magistratura, forza dell’ordine, prefettura, strutture sanitarie, case rifugio, centri civici.
In Spagna quando si parla dei tribunali speciali si fa riferimento a 106 tribunali dedicati e specializzati nella violenza di genere e ad altri 351 che si occupano della problematica assieme ad altre questioni penali e civili. La donna che si reca in uno di questi tribunali può fare affidamento su un’unità di persone specializzate che prestano aiuto alle vittime gratuitamente: avvocati, assistenti sociali, psicologi, unità forensi e mediche.
Così la vittima può ricevere tutta l’assistenza necessaria, un posto sicuro in cui vivere, il diritto di assentarsi da lavoro o cercarne un altro, avere aiuti economici. “Questa legge riconosce che la lotta contro la violenza di genere è un obbligo di tutta la società e che la violenza è strutturale, perché il delitto si commette in una condizione di disuguaglianza, potere e discriminazione”, sostiene Lara Esteve, magistrata valenziana. La particolarità di questi tribunali consiste nel fatto che la donna in un breve lasso di tempo può sollecitare misure penali, civili e sociali per proteggersi dall’aggressore.
La legislazione spagnola sta continuando a perfezionarsi, un esempio è la lei del solo sì es sì, una legge in fase di approvazione che introduce il reato di catcalling, in Italia considerato semplicemente come “molestia o disturbo alle persone”, inoltre definisce il consenso nel rapporto sessuale. Grazie a questa legge sarà violenza ogni atto senza consenso, una svolta decisiva per la libertà sessuale.
“Ci sono corsi di prospettiva di genere o penali, però non sono determinanti per accedere al tribunale sulla violenza contro le donne”, spiega Esteve, la quale ha un ruolo essenziale e di primaria importanza nella formazione di tutti i funzionari del settore. Inoltre, da luglio verrà introdotta anche la formazione obbligatoria per tutte le forze dell’ordine. Queste nuove misure sono funzionali a mantenere efficienti i tribunali speciali e a mantenere alta la preparazione di tutto il personale attivo in questo campo.
Nel frattempo, in Italia abbiamo una tra le legislazioni più avanzate in Europa ma, purtroppo, la maggior parte delle disposizioni non vengono applicate: il Codice Rosso approvato nel 2019 ha introdotto nuovi delitti come l’induzione al matrimonio, la deformazione dell’aspetto della persona e obbliga i giudici ad ascoltare la vittima entro tre giorni. Il codice è stato un passo in avanti, ma non è ancora sufficiente. Di fatto il problema non riguarda le leggi, come spiega la giudice consulente della Commissione femminicidi del Senato Paola Di Nicola Travaglini, ma il grado di preparazione della giustizia italiana su questa onnipresente e immensa problematica: “Abbiamo una legislazione tra le più avanzate d’Europa e del mondo. Molto efficace, seria e utile a prevenire e non solo a tutelare le vittime. Le norme però sono in gran parte male applicate, quindi è un problema di formazione degli operatori”, afferma. Difatti l’Italia pur essendo stata tra i primi paesi a ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione della lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, queste appaiono solamente in poco più del 3% delle sentenze.
Inoltre, secondo il Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella giustizia della Commissione femminicidi, il 95% dei tribunali civili non è formato dal punto di vista giuridico e culturale ad identificare i casi di violenza domestica.
Denunciare un abuso o una violenza subita non è mai semplice. Per questo, in Spagna, gli strumenti che le donne hanno a disposizione sono diversi: la Guardia Civil, la polizia nazionale, la polizia locale, i tribunali speciali dedicati alle violenze di genere e i juzgados de guardia, una specie di pronto soccorso della giustizia aperto ad ogni ora.
Infatti, guardando i dati, si può notare come in Italia il 15% delle vittime sporge denuncia, mentre in Spagna la cifra aumenta fino al 26%. “La nostra normativa è cosciente del fatto che la denuncia per la donna non è sempre la prima opzione. In molte occasioni la vittima non si sente pronta a denunciare perché ha una dipendenza economica, sentimentale, o perché non sa cosa succederà ai suoi figli”, spiega Esteve.
Segno di questo contesto avanzato ed efficace è l’Indice di parità di genere, in cui la Spagna è preceduta solamente dai paesi nordici, occupando l’ottava posizione, mentre l’Italia si trova alla quattordicesima posizione.
A gennaio si è pareggiato il congedo di maternità e paternità a 12 settimane per entrambi i sessi, mentre in Italia il Family Act dovrebbe aumentare il congedo di paternità da 10 a 90 giorni.
La Spagna, esemplare per la lotta alla violenza di genere, dovrebbe essere un modello per tutti i Paesi europei e non solo. La cultura etero patriarcale è insita in ognuno di noi, in ogni individuo della società. Per questo è così difficile da sradicare, ma non dobbiamo arrenderci. Anzi, dobbiamo trovare la forza per combattere insieme un nemico comune ad ognuno di noi.