Di Giulio Raffaele
Sono passati 4 anni, dal giorno in cui il neofascista Luca Traini, tentò di compiere una strage a Macerata il 3 febbraio 2018. In effetti, furono 17 i colpi esplosi con arma da fuoco dall’allora ventottenne. Nella sparatoria, avvenuta nella zona adiacente alla stazione della città, rimasero feriti 6 migranti di origine sub-sahariana, tutti giovani, con età compresa tra i 20 e i 35 anni all’incirca. Un crimine per cui la Cassazione ha confermato, nel marzo del 2021, la condanna a 12 anni di reclusione per Traini, a cui si vanno a sommare i risarcimenti alle vittime ed alle parti civili, tra cui il comune di Macerata, la sede del Pd ed alcuni esercizi commerciali. È stata riconosciuta, in questo caso, anche l’aggravante dell’odio razziale, che spesso in sede giudiziale viene difficilmente presa in considerazione.
Luca Traini, detto anche ‘il lupo di Macerata’, rivendicò fin dall’inizio la responsabilità dell’accaduto, tentando inoltre di giustificarsi dicendo di aver agito per vendicare la morte di Pamela Mastropietro, divenuta ormai un simbolo nella lotta all'eliminazione della violenza di genere, il cui omicidio avvenne pochi giorni prima. Secondo l’avvocato del condannato, Franco Coppi, “si dovrebbe tener conto” del fatto che l’autore del raid razzista e xenofobo era “in preda ad un raptus emotivo”, che lo spinse, a quanto pare, ad identificare erroneamente le sue vittime come autori della morte di Pamela e gestori dello spaccio di droga nella provincia. La ragazza, all’epoca 18enne, fu invece uccisa da due coltellate al fegato infertegli dal pusher nigeriano Innocent Oseghale, dopo essere stata probabilmente abusata sessualmente sotto l'effetto di eroina.
Secondo le dichiarazioni di Traini, Pamela sarebbe stata addirittura una sua amante. Tuttavia, stando alle dichiarazioni dei familiari, emergono contraddizioni nella versione dei fatti raccontata dal condannato. Infatti, sembrerebbe che i due in realtà non ci conoscessero affatto.
Al momento dell’arresto, Traini indossava al collo la bandiera italiana e sulla tempia aveva un tatuaggio assolutamente singolare: il simbolo di Terza Posizione, un'organizzazione di estrema destra eversiva fondata nel 1978 anche da Roberto Fiore, segretario nazionale di Forza Nuova.
Quanto successo 4 anni fa a danno di sei persone innocenti è solo uno dei tantissimi casi di estrema violenza con matrice discriminatoria e razzista. La vicenda, unita ad altre consumatesi negli ultimi anni, testimonia, infatti, come la mentalità xenofoba sia ancora radicata nella mente e nel cuore dell’essere umano, nonostante queste esperienze dovrebbero rappresentare solamente un lontano retaggio del passato. Ciò che sconvolge è che tutto questo accada in Italia, dove persiste la paura verso il “diverso” e dove giorno dopo giorno aumenta sempre di più un clima di odio e di sopraffazione, alimentato purtroppo anche dai dibattiti pubblici e politici. Tutto ciò si trasforma poi in violenza, discriminazione ed esclusione, e questo, oggi più che mai, è inaccettabile.