È il secondo incendio a Campobello di Mazara nell’arco di 6 mesi, ma le amministrazioni rimangono inerti
Di Thierno Mbengue e Eya Djelassi
La notte tra il 7 e l’8 marzo le fiamme di un immenso e devastante incendio sono divampate in un accampamento di migranti nei pressi dell'ex cementificio "Calcestruzzi Selinunte", al confine tra Castelvetrano e Campobello di Mazara. La fonte dell’incendio, con molta probabilità, è stato un braciere acceso da alcuni abitanti della baraccopoli per riscaldarsi. In breve tempo tutti gli alloggi di fortuna, costruiti con una struttura di legno ricoperti da teli di plastica e cartone, sono stati travolti dalle vampate. È stato necessario l’intervento dei pompieri per domare le fiamme e riuscire a spegnerle. Il gruppo che si trovava nell’accampamento improvvisato era composto da circa un centinaio di migranti e fortunatamente, questa volta, sono riusciti tutti a mettersi in salvo.
Un episodio simile si era già verificato a settembre scorso nella stessa baraccopoli di Campobello, quando un rogo aveva invaso e devastato l’intero insediamento dei lavoratori stagionali uccidendo Omar, un giovane ragazzo di 36 anni proveniente dalla Guinea Bissau.
In quel tragico caso, sulla base delle verifiche effettuate e delle testimonianze raccolte, ciò che portò alla morte di Omar fu il ritardo dell’intervento dei vigili del fuoco, che arrivarono con 2 ore di ritardo.
Ai tempi nell’area erano presenti circa 350 lavoratori stagionali extracomunitari e le fiamme sarebbero scoppiate in seguito ad un’azione di rabbocco di combustibile all’interno di un piccolo gruppo elettrogeno da parte degli stessi migranti per tentare di riscaldarsi, ed avevano interessato 3000 mq di terreno. Ovviamente, a causa dell’incendio, oltre all’angoscia, alla sofferenza e alla paura i lavoratori sono stati privati dei propri documenti, dei propri effetti personali e dell’unica soluzione abitativa che, nonostante le condizioni precarie e degradanti, costituiva per loro un riparo sicuro. Allora, gli organi istituzionali competenti avevano costituito un tavolo di lavoro per discutere e risolvere la problematica riguardante gli insediamenti abusivi dove vivevano cittadini stranieri, prevalentemente lavoratori stagionali della raccolta olivicola; ma il dialogo è sempre stato complesso, le risoluzioni tardavano o talvolta non venivano effettuate.
Tra le iniziative promosse dalla Prefettura locale, spicca la progettazione di un campo attrezzato per accogliere tutti i lavoratori stagionali, utilizzando i contributi finanziari appositamente destinati alla risoluzione delle situazioni di degrado in cui i migranti vivono da sempre. Ogni anno, per lavorare nella raccolta delle olive, nel trapanese giungono centinaia di migranti provenienti da diverse città italiane come Torino, Bologna e Livorno. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che in Italia vivono da una decina di anni come minimo e che per una serie di ostacoli burocratici hanno vissuto ai margini della società, come degli “invisibili”.
Il non essere riusciti a garantire una corretta gestione dei flussi migratori, applicando politiche di inserimento legale all’interno dei diversi aspetti della società, altro non è che il palese fallimento di uno Stato che ha preferito perpetrare per un lungo periodo questo fenomeno, ignorando ogni eventuale conseguenza in termini di danni alle vittime.
La già tragica situazione in cui vivono i migranti da anni, è peggiorata con gli incendi degli ultimi mesi fino ad arrivare all’ultima tragedia di qualche giorno fa, consumatasi appunto lo scorso 5 marzo. La baraccopoli presa in esame, così come tutte le baraccopoli esistenti, autonomamente costruite dai lavoratori stagionali, rappresenta l’abbandono dello Stato italiano e dell’Unione Europea nei confronti dei più bisognosi che, in questo caso, dopo lunghi e infernali viaggi effettuati per raggiungere la salvezza, vengono ghettizzati ed abbandonati alle grinfie delle mafie e del caporalato. In effetti, l’ex Calcestruzzi “Selinunte” di Norino Cascio, in cui i braccianti si erano stabiliti, ha al proprio interno una piazza di spaccio e un traffico di prostituzione ampio, gestito molto probabilmente da un nido della mafia nigeriana. Ed è difficile pensare che, vista la zona, non ci sia stato un consenso da parte di Cosa Nostra.
Inoltre, anche dalle più recenti inchieste emerge che il capo dell’area trapanese di Castelvetrano e Campobello di Mazara, sia ancora il super latitante corleonese Matteo Messina Denaro.
La “questione Campobello-Castelvetrano” persiste da ormai un decennio anche a causa della corruzione e dall’inerzia presente nelle amministrazioni comunali coinvolte, che da anni continuano a rimbalzarsi la responsabilità degli interventi necessari ad una risoluzione del problema, mettendo così in atto la maledetta attitudine dello “scaricabarili”.
Non si può accettare l’indifferenza dello Stato e dell’Unione Europea, che nelle azioni dimostrano sempre di più la mancanza della volontà di integrare coloro che cercano disperatamente una vita dignitosa. L’assenza istituzionale facilita così la creazione di ghetti in cui prendono vita terreni fertili per le mafie nostrane e straniere, per l’affiliazione di nuovi membri, per l’oppressione dei più deboli e per l’allargamento dei propri business.
Foto © Ahmed akacha/Pexeles