Di Guido Brizzolara e Bruno Brizzolara
Lunedì 4 aprile è finalmente uscito il terzo volume del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC e il tanto atteso verdetto è uno solo: bisogna agire immediatamente, prima di trovarsi senza più alcuna via d’uscita.
Il documento è frutto del lavoro del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che a partire dall’anno scorso ha fatto uscire il rapporto diviso in tre parti: la prima dedicata alle basi fisico-scientifiche del cambiamento climatico; la seconda a impatti, adattamento e vulnerabilità; la terza e ultima alla mitigazione del cambiamento climatico. La parte uscita qualche giorno fa è forse quella più importante perché illustra ciò che dovremmo fare per salvarci da una fine ormai sempre più vicina. Agendo nell’immediato è ancora possibile arginare i danni, anche se alcuni cambiamenti in atto sono irreversibili in centinaia se non migliaia di anni.
Il rapporto ha dimostrato senza più ombra di dubbio che è quasi inevitabile il superamento della soglia di 1,5°C stabilito dagli Accordi di Parigi. L’unica speranza è di riuscire a rientrarvici entro la fine del secolo, ma questo sarà possibile solo se le emissioni globali di gas serra raggiungeranno il loro picco nel 2025 per poi ridursi del 43% entro il 2030, in contemporanea ad una riduzione di almeno un terzo del metano. “È ora o mai più, se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5°C” ha affermato il co-presidente del terzo gruppo di lavoro dell’IPCC, Jim Skea.
Se non faremo nulla nei prossimi tre anni, entro la fine del secolo si prevede un aumento totale di 3,2°C, con conseguenze terrificanti.
Il livello del mare potrà arrivare ad innalzarsi di 40 cm, con aumento del caldo estremo. In contemporanea, il 20% della superficie terrestre sarà soggetta a piogge estreme.
Negli oceani, dal 70% al 90% delle barriere coralline tropicali rischiano di morire e la metà delle specie marine sono estremamente a rischio di estinzione. Delle specie terrestri, è "solo" il 20% ad essere in pericolo. Queste sono solo alcune delle conseguenze previste dagli scienziati.
Ma come dobbiamo agire? Il rapporto IPCC risponde proprio a questa domanda.
Jim Skea
Le proposte del forum intergovernativo per ridurre il cambiamento climatico sono tanto semplici da comprendere, quanto difficili da mettere in pratica. In primis, è necessario diminuire la quantità di gas a effetto serra nell’atmosfera, concentrando l’attenzione e i finanziamenti pubblici su tecnologie ed energie pulite e incentivando il passaggio dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili. Le opportunità ci sono: secondo gli scienziati, esistono delle “opzioni in tutti i settori per almeno dimezzare le emissioni entro il 2030”, in particolare per quanto riguarda la transizione energetica.
La colpa è dell’uomo e della società che ha costruito, è ormai evidente. A dirlo erano già le prime due parti del rapporto, ma lo ha confermato ancora una volta la pesante denuncia di Skea: “I cambiamenti climatici sono il risultato di più di un secolo di energia e uso del suolo insostenibili, così come insostenibili sono stati gli stili di vita, i modelli di consumo e di produzione”.
Sono vagamente speranzose le parole del presidente dell’IPCC, Hoesung Lee: “Le decisioni che prendiamo ora possono assicurare un futuro vivibile. Abbiamo gli strumenti, le conoscenze e le competenze necessari per limitare il riscaldamento”. Ma avere la possibilità di fare qualcosa, non vuol dire necessariamente riuscire a farla, come ci dimostra quotidianamente la politica.
Lo stesso segretario generale dell’ONU António Guterres ha aperto il proprio messaggio con delle parole molto dure: “la giuria ha raggiunto un verdetto ed è una condanna”. Il rapporto, a detta di Guterres, è una “litania di promesse climatiche infrante”, “un archivio della vergogna che cataloga gli impegni vuoti che ci mettono direttamente sulla strada verso un mondo invivibile”. Ha parlato in modo chiaro e diretto, accusando i leader politici e aziendali, che “dicono una cosa ma ne fanno un’altra, in poche parole, mentono”.
Non c’è più tempo per giustificazioni o mezzi termini: i risultati delle politiche dei nostri governi saranno catastrofici e, a breve, inevitabili. Abbiamo ancora qualche anno per agire, tre per l’esattezza, ma non si può rimandare come è stato fatto fino ad ora.
A supportare la preoccupazione degli scienziati del pannello, pochi giorni fa, è arrivata un’analisi della NASA, effettuata grazie ad un indice termico con l’aiuto di dati satellitari. Secondo la mappa del nostro pianeta pubblicata dall’agenzia governativa, i cambiamenti climatici renderanno inabitabili numerose zone della Terra, tra il 2050 e il 2070, già soggette a grandi aumenti delle temperature medie.
Già entro i prossimi 30 anni, estese aree dell’Asia meridionale, del Golfo Persico e vicine al Mar Rosso saranno in grossa difficoltà. Nei successivi vent’anni anche il Brasile, la Cina orientale e alcuni Stati degli Usa si aggiungeranno alla lista. Molta attenzione attrae la zona attorno al Mediterraneo che, sempre secondo la mappa della NASA, sembra essere ad alto rischio.
Oltre a confermare l’allarme lanciato dall’IPCC, l’analisi della NASA ha dimostrato come la crisi climatica non è, almeno inizialmente, democratica. Sono, infatti, quasi solo le aree meno colpevoli del disastro ambientale a pagare le conseguenze delle azioni dei governi occidentali.
Non possiamo più nasconderci dietro un dito: la crisi climatica è in atto e sarà distruttiva. È inaccettabile che ancora la politica ignori gli avvertimenti del mondo scientifico, che praticamente all’unisono ha dimostrato la gravità dei cambiamenti climatici, causati dalle politiche energetiche e produttive dei nostri governi. Le multinazionali, e con loro i politici che manovrano, continuano a voltarsi dall’altra parte o, addirittura, a fare finta di voler fare qualcosa per rimediare ai propri danni, senza effettivamente agire secondo le strategie proposte dagli scienziati.
Hoesung Lee