Scritto da: Di Eya Djelassi e Loris Curri
La “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale” è stata istituita nel 1966 dalle Nazioni Unite in ricordo di un violento episodio accaduto il 21 Marzo 1960 nella cittadina di Sharpeville, in Sud Africa. La polizia sudafricana aprì il fuoco contro la folla che stava partecipando ad una manifestazione pacifica contro un insieme di leggi che alimentavano il sistema di segregazione razziale.
Si trattò di uno dei più sanguinosi episodi mai verificatosi durante l’Apartheid e segnò l’escalation di violenze e abusi contro la comunità nera.
Pochi mesi prima dell’istituzione di tale giornata, il 21 dicembre 1965, l’Onu aveva adottato la “Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale”. Si tratta di un testo che enuncia tutti i diritti civili, economici, sociali, politici e culturali che devono essere universalmente riconosciuti e garantiti, indipendentemente dalle differenze etniche.
Eppure, oggi, a distanza di 56 anni, pare che le dinamiche non siano radicalmente cambiate. Continuiamo ad assistere ad episodi di discriminazioni razziali in tutte le parti del mondo.
Oggi più che mai è necessario lottare contro un sistema strutturalmente razzista che alimenta un’educazione basata sulla paura e sul respingimento di chi si percepisce come estraneo/a perché apparentemente diverso/a.
Non è più sufficiente parlare di tolleranza perché dall'altra parte rimane un presupposto ben radicato di plausibile e accettabile intolleranza. Non si può più urlare all’inclusività se non viene prima attuato uno smantellamento profondo dell’ideologia razzista.
Che la giornata di oggi non si limiti ad una mera celebrazione dove l’Occidente mascheri i propri interessi con pseudo lotte per l'eliminazione delle discriminazioni razziali.
È necessario porre fine a tutte le cause coloniali che continuano ad alimentare l'oppressione e l’annichilimento di popoli considerati dall’Occidente come “inferiori” e “incivili”.
L’ipocrisia dell’occidente che oggi celebra questa giornata, ma non si rende conto di aver interiorizzato un’educazione razzista, è da condannare con forza. È infatti inammissibile la narrazione violenta di questo ultimo periodo, avanzata da politici e giornalisti, che si basa sulla distinzione tra profughi di serie A e profughi di serie B. Tra persone che meritano di ricevere aiuto, essere soccorsi e chi invece non è abbastanza bianco o vicino a noi da meritarsi di sprofondare nelle acque del Mediterraneo, subendo abusi e violenze in veri e propri lager in condizioni disumane.
Se non sono abbastanza vicini, se non ci assomigliano abbastanza e se non conducono una vita simile a quella stabilita dagli standard occidentali ecco che allora non sono morti che valgono.
Si tratta di un brutale conflitto che contrappone corpi ad accordi economici, prigioni a barconi, paure, violenze, ricatti, dignità calpestate e un razzismo interiorizzato continuo che vuole sgravare le persone dalle proprie colpe ed avere la coscienza pulita per andare avanti e continuare ad essere i buoni portavoce di principi democratici, civili e avanguardisti.
Recentemente abbiamo assistito ad un avvertimento di portata storica che ha lasciato una ferita profonda in tutti noi.
La sofferenza che percepiamo in questo costante circolare di notizie, video, immagini, parole e testimonianze sta dando un forte impatto su ciò che il cittadino medio in occidente percepisce, ma oltre alla solidarietà a cui stiamo assistendo questi giorni stiamo anche notando lo smascheramento della politica europea, rivelatasi in questi giorni sempre più contraddittoria e deludente.
Sono ormai passati decenni dalle prime grandi migrazioni dai territori colonizzati e sfruttati dalle potenze europee, eppure oggi la risposta a questa situazione si è spesso rivelata violenta e disumana. Basta pensare al come si diventa ciechi di fronte alle sofferenze dei migranti provenienti dalla Libia e alle bastonate agli innocenti che cercano di passare. Questo atteggiamento si rivela ipocrita, nonostante gli stati europei abbiano sfruttato la popolazione e le risorse di interi continenti, continuando ancora oggi questa politica imperialista attraverso il neocolonialismo.
L’Europa finanzia gli Stati che detengono in centri di tortura, violando sistematicamente i diritti umani, gli sfollati che fuggono dai conflitti che essa stessa ha generato.
La guerra in Ucraina, ovviamente illegittima e da condannare, viene vista come l'unica situazione tragica in questo momento facendo passare in secondo piano le decine di conflitti attualmente in corso sul pianeta. Inoltre, è vergognosa la tendenza occidentale a giustificare le proprie azioni attribuendo ai popoli dell'Iraq e della Siria, la culla della civiltà a cui mettiamo continuamente enfasi nella nostra storia e politica, il titolo di "incivilizzati" o "minaccia per la democrazia". Così facendo il razzismo, oltre che antistorico, diventa anche uno strumento politico dove le guerre sembrano quasi essere giustificate e passano inosservate quando le vittime non sono bianche.
Il continente africano, e non solo, viene presentato come una realtà inevitabile per cui ogni cosa che accade al suo interno non ci debba riguardare perché ormai "è così che funziona lì". Non dobbiamo assolutamente rimanere indifferenti a queste ingiustizie. Dobbiamo analizzare e capire le dinamiche dietro ai conflitti, alle violenze, alle sopraffazioni, alla povertà. Non dimentichiamoci che i maggiori responsabili sono le popolazioni occidentali, che con la propria indifferenza permettono a gruppi ristretti di potere di continuare con le proprie politiche guerrafondaie. Forse ora che rischiamo di essere spazzati via dalle bombe nucleari le nostre coscienze si sveglieranno dal letargo per rendere giustizia a tutti i popoli che non hanno voce in capitolo.