IL RITORNO DI LOLITA CHAVEZ IN GUATEMALA:
Uno scontro con la criminalità organizzata
Di Matias Guffanti
Lo scorso 27 giugno la leader del consiglio delle popolazioni Maya k'iche' e femminista comunitaria, Aura Lolita Chavez, è tornata nel suo territorio, Ixim Mulew (paese che i colonizzatori hanno chiamato Guatemala). Dopo 7 anni di esilio che è stata costretta a fare per aver affrontato il crimine organizzato e i progetti multinazionali che si espandevano sul suo territorio, "Lolita Chavez tornò e non tornò sola", come cantava durante il viaggio, con felicità e forza, la delegazione internazionale che l'ha accompagnata dal territorio Zapatista del Chiapas (Messico), passando per il territorio Lenca dell'Honduras, fino ad arrivare, con una vera festa di benvenuto, al territorio Maya K'iche (Guatemala).
Il viaggio di ritorno, che per Lolita Chávez è iniziato in Euskal Herria (Paese Basco), era un posizionamento politico e una proposta concreta di fronte agli esilii forzati che si vivono nel mondo. Un modo per rompere, in comunità, i confini imposti dalle frontiere e dalla paura, che con violenza cercano di installare nei nostri corpi i poteri degli Stati, le multinazionali e la criminalità organizzata al servizio del capitale. Una "pedagogia del ritorno", come lo chiamarono coloro che facevano parte delle assemblee tenute in ogni città dove si fermava la delegazione, costruita da una comunità internazionale e internazionalista, da una "comunità di comunità" che univa forze dall'Honduras, Messico, Argentina, Bolivia, Uruguay, Cile, Euskal Herria e Italia, fino al Kurdistan.
Un percorso politico, attraversato da cerimonie ancestrali, assemblee che costruivano collettivamente le basi di un manifesto, momenti di incontri emozionanti e per una costante solidarietà con le lotte che si incontravano nel cammino. Che, iniziato con un piccolo gruppo di 12 persone, è rapidamente diventato una delegazione di oltre 50 partecipanti, composta da comunità originarie, organizzazioni sociali e giornalisti.
L'esilio
"Lolita", chiamata così dalle sue compagne e compagni, autorità del Consiglio dei Popoli K'iches' (CPK), ha subito molteplici attentati a mano armata ed oggi continua a ricevere minacce, come conseguenza per aver difeso i boschi assieme al popolo Maya, per aver denunciato le organizzazioni narcotrafficanti locali e per aver impedito che sul loro territorio si installino concessioni minerarie e di legname. Fatti che le multinazionali, il governo che lavora con loro e la polizia locale non le hanno mai perdonato.
"Le multinazionali stavano invadendo i territori, in particolare le foreste. Esiste un'aggregazione di taglialegna che si collegano con un programma della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite, chiamato Red Más e Red Plus, che provengono da una presunta risposta al cambiamento climatico.
In k'iche' il problema è che questa struttura della Banca Mondiale si è associata a imprese di legname legate ai "kaibiles", macchine del terrore che erano o sono parte dell'esercito, e oggi sono paramilitari. I paramilitari hanno formato una struttura legata agli incentivi forestali che dà l'Istituto Nazionale delle Foreste attraverso il Programma di Incentivi Forestali (Pinfor), che gestisce molti euro e dollari e li offre alle aziende aggregate.
Noi avevamo già identificato aziende minerarie, di cablaggio ad alta tensione e di monocoltura come la Monsanto Company, ma la ricerca ha anche rivelato che c'erano 97 licenze forestali con il collegamento della Pinfor. Lo Stato ha riferito che, presumibilmente, il 95% degli alberi abbattuti durante l'estrazione del legno era illegale.
Il problema che avevamo era l'estrazione degli alberi ancestrali, ma anche quello dell'acqua. Per questo ci siamo alzati ancora di più, perché l'acqua non arrivava nelle nostre case, mentre vedevamo passare camion con legna", raccontava Lolita Chavez in una conversazione con la giornalista Gloria Muñoz Ramirez, giorni prima di iniziare l'odissea del ritorno.
Durante la sua difesa della foresta, Lolita fermava e segnalava allo Stato i furgoni che portavano illegalmente gli alberi. Motivo per cui, i sicari hanno tentato di ucciderla ripetutamente, sparandole e in alcune occasioni picchiando brutalmente alle donne che confessavano di essere loro Lolita Chavez, per evitare che i criminali arrivassero a lei.
Nel 2017, Lolita è stata processata, accusata per aver sequestrato un rimorchio con armi e droga. 7 anni dopo, grazie alle lotte popolari del Guatemala e alla lotta dei popoli che ha incontrato durante il suo esilio, nel gennaio di quest'anno, le accuse contro di lei sono state ritirate. Ed è stato in quel momento, che senza alcun timore di essere fermata, ha deciso di tornare con il suo popolo e la sua famiglia.
Ritorno in comunità
Il viaggio di ritorno è iniziato nelle terre ribelli, zapatiste, del Chiapas (Messico). Le prime attività si sono svolte durante il solstizio d'estate, il 21 giugno, presso l'università della Terra. Li si tenne una prima cerimonia ancestrale e plurinazionale attorno al fuoco sacro. A seguire un'assemblea aperta in cui hanno avuto luogo le prime discussioni su temi che hanno accompagnato tutto il percorso. Tra questi la criminalizzazione delle difensore e dei difensori dei territori; l'avanzamento estrattivista; e come affrontare il sistema capitalista attraverso il femminismo plurinazionale, comunitario, popolare, indigeno e contadino. Ma anche attraverso il confederalismo democratico del movimento delle donne del Kurdistan, il potere popolare in mano alle comunità e l'autonomia rispetto agli Stati nazionali.
Il giorno dopo, la prima dichiarazione pubblica è stata rilasciata. Una conferenza stampa che annunciava l'inizio del ritorno insieme alle voci rappresentanti ogni territorio presente. In cui Lolita ha detto con entusiasmo: "Rido, rido ironicamente perché quando mi hanno cacciata pensavano che mi stessero attaccando, e che togliendomi di mezzo nel modo in cui sono stata portato via, criminalizzato e con tentato omicidio molte volte a mano armata, avevano detto: 'questa come sembra così piccolina, e come sembra così
spaventata, e come i suoi occhietti si riempiono di lacrime, diventerà innoqua', ma no. Io sono qui degnamente". Iniziando così, ufficialmente, una serie di attività che non si fermeranno fino a raggiungere il popolo K'iche'.
"Quello che stiamo esprimendo è la volontà di costruire un modo politico tra i femminismi plurinazionali, popolari, comunitari, di fare politica al di là delle logiche statali, Stato centriche. Di ottenere un ritorno che parta dalle comunità, dall'abbraccio dei territori e dalla volontà di porre fine alle politiche di morte, di distruzione della natura, per fare in modo che la vita delle comunità sia quella che prevale. È questo che stiamo facendo e lo stiamo facendo con molta emozione, perché Lolita Chavez è stata trascurata", ha sottolineato Claudia Korol di Feministas del Abya Yala alla chiusura della conferenza stampa.
Il gruppo ha percorso diversi territori e spazi di resistenza del Messico, continuando con i suoi dibattiti politici e assemblee, per poi dirigersi verso il territorio Lenca, in Honduras. Dove la delegazione si è trovata in uno dei luoghi di lotta e resistenza più importanti della città di La Esperanza. Il centro di Incontri e Amicizia del COPINH (Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell'Honduras), costruito e chiamato "Centro Utopia" dalla leader assassinata nel 2016, Berta Cáceres.
Da lì la comunità internazionale in viaggio, si è fatta sentire pubblicamente. Una seconda conferenza stampa dall'Honduras, ha annunciato il suo passaggio attraverso il territorio. In essa, il messaggio di Lolita Chavez si univa con la richiesta di giustizia per la sua amica e compagna Berta. "Bertita", come la chiamavano sempre i suoi familiari e le sue amiche. La ricordava con aneddoti e lacrime che portavano la sua presenza alla delegazione, come se fosse una viaggiatrice in più che camminava assieme a chi ha condiviso gran parte della sua vita.
"Nei momenti del processo di ricerca della giustizia per la nostra compagna Berta
Cáceres abbiamo vissuto momenti di grande tensione, perché tutto ciò che abbiamo ottenuto durante questi otto anni, ovvero la condanna degli otto uomini coinvolti nel suo vile omicidio, è a rischio.
Stiamo esigendo alla Corte Suprema di Giustizia di confermare le sentenze e di pronunciarsi in conformità a quanto approvato nel processo, dove sono state chiaramente evidenziate queste strutture criminali, con strutture sicariali, strutture intermedie legate all'azienda, strutture militari e una struttura di autoria intellettuale del crimine che non è stata processata e della quale ancora non abbiamo una risposta da parte dello Stato, ovviamente", ha denunciato Berta Zúñiga Caseres, figlia di Berta Cáceres ed attuale coordinatrice generale del COPINH, al passo di Lolita e la delegazione per il suo territorio, visibilizzando dalla lotta del popolo Lenca e della sua storia, ciò che oggi vive gran parte del Centro America e dell'America Latina in generale.
Dall'Honduras il viaggio è proseguito verso il Guatemala, con, da quel momento, più di 20 compagne e compagni del COPINH. Dopo aver attraversato il confine, la prima tappa è stata la capitale del Guatemala. Dove oltre a fare le pratiche già tipiche della delegazione per ogni luogo in cui passava: cerimonia, conferenza stampa e assemblea, nelle quali si intrecciavano cause e memorie come quella delle Madri di Plaza de Mayo linea fondatrice, Nora Cortiñas, quella delle 41 ragazze uccise nel 2017 in Guatemala per lottare per i loro diritti, quella di Lichita, la ragazza uccisa in Paraguay e tante altre. La delegazione ha avuto un incontro con l'attuale presidente del paese, Bernardo Arévalo.
Incontro, che il presidente ha condotto con i rappresentanti della delegazione alla Casa di Governo e in cui, oltre ad ascoltare le esigenze e le richieste che portava con sé il collettivo internazionale, il presidente si è impegnato a portare avanti i progressi nel rispetto dei diritti umani e a porre fine alla corruzione che attraversa le varie sfere del governo, del sistema giudiziario e del parlamento.
L'arrivo a K’iche’
Finalmente, la seguente destinazione è stata il territorio K'iche'. L'arrivo a casa della famiglia di Lolita è stata di notte e il benvenuto ha rimpieto di emozione. Ogni giorno e ogni festa in cui mancava la sua presenza fisica, sembrava sentirsi nelle parole e negli abbracci che riceveva. Lolita era tornata e non da sola. Con una cena per più di 60 persone presenti in una casa che ha dato un piatto a ciascuna senza sapere quanti eravamo, la delegazione si è preparata a dormire qualche ora e vivere l'incontro con tutte le comunità che la mattina seguente, dopo 7 lunghi anni, ha ricevuto con musica, cibo e cerimonia alla leader K'iche'.
"Essere ora a Ixim Ulew, per noi è davvero aver adempiuto il sacro patto con un nuovo tempo. Questo tempo di ritorno in comunità, che non finisce qui a Ixim Ulew e nemmeno in k'iche, ma è l'inizio del ritorno in comunità per molti popoli, per molte sorelle criminalizzate. Quello che segue da qui in poi è organizzarci affinché siano possibili i ritorni di altre sorelle, organizzarci per poter concretizzare, ogni giorno, questa comunità di comunità, questi confederalismi", ha detto Adriana Guzmán, femminista comunitaria antipatriarcale della Bolivia, partecipante alla delegazione di rimpatrio.
Un'altra referente presente, in quella che è stata una vera festa di benvenuto per Lolita, era Francisca Fernández Droguett, del Movimento per l'acqua e i territori del Cile, che nel mezzo della cerimonia e l'emozione di essere arrivata al territorio sacro ha detto: "Questa pedagogia del ritorno ha a che fare innanzitutto con la costruzione di un femminismo con i piedi per terra, un femminismo comunitario, antiestrativista, contadino, popolare. Ma d'altra parte, bisogna costruire un internazionalismo che richieda la caduta delle frontiere.
"Le frontiere sono state un'imposizione coloniale occidentale che ci ha posti per dividere i popoli, mentre il capitale continua a operare in modo transfrontaliero", ha detto.
Attualmente
Oggi Lolita è ancora nel territorio. E anche se le cause contro di lei sono state chiuse, il pericolo non cessa. I sicari e la criminalità organizzata al servizio delle imprese estrattive nelle mani delle grandi borghesie con i loro apparati di intelligence, continuano a minacciare e ad attentare contro membri del Consiglio dei Popoli K'iche' (CPK).
Lo scorso 18 luglio, uno dei suoi membri, Jesús López, è stato brutalmente ucciso da 14 colpi di machete ad opera di un sicario del crimine organizzato che opera in questo territorio, il quale è stato arrestato e consegnato alla giustizia dalle comunità.
Secondo un comunicato emesso dall'organizzazione "si sospetta che questa struttura sia protetta dal Pubblico Ministero, guidato dalla procuratrice generale Consuelo Porras".
Nello stesso comunicato, il CPK dice: "Le comunità del popolo K'iche' allertano a livello nazionale e internazionale affinché si fermi il crimine contro il nostro popolo e si smantellino le strutture del sicariato e del narcostato".
Come dice Lolita, con il sorriso e l'allegria che la caratterizzano, "Ixim Ulew fiorirà". E come diceva la nostra cara Madre di Plaza de Mayo, Norita Cortiñas: "L'unica lotta che si perde è quella che si abbandona". Speriamo che il presidente Arévalo possa mettere in pratica le sue parole. Nel frattempo, continueremo ad accompagnare e a lottare, dai diversi territori in cui ci troviamo, per una società in cui i difensori dei territori e della natura non siano più storie di notizie sulla criminalità e del sicariato, ma voci che si moltiplicano rompendo frontiere e tutte le oppressioni.
*Foto di copertina: COPINH
*Foto dell'articolo: Matias Guffanti, Fatima Amaral.