“Resistenzə”: L’occupazione come pratica di lotta politica
Di Noemi Carchedi e Alberto Guastamacchia
È iniziata ieri a Palermo, ai Cantieri Culturali della Zisa, la rassegna culturale “Resistenz3” firmata Our Voice. La prima giornata è stata dedicata al tema “l’occupazione come pratica di lotta politica”. I partecipanti hanno condiviso esperienze e riflessioni su come l'occupazione possa influenzare le dinamiche di potere e promuovere la giustizia sociale. Sono state messe in luce le connessioni tra teoria e pratica, sottolineando la necessità di un approccio collettivo e strategico nella lotta per i diritti e l'uguaglianza.
L’incontro si è aperto con la presentazione degli ospiti a cura del moderatore e attivista di Our Voice Jamil El Sadi. La parola è stata data a Geo Adragna, attivista di “Ribellione Animale”. Questo movimento nasce nel 2021, durante il G20 di Venezia, come costola di “Extinction Rebellion” per poi, in seguito, diventare un movimento a sé stante. “Ribellione Animale”, spiega Geo Adragna, è un movimento “che prende in considerazione la questione animale e il nostro rapporto con gli animali, che è disastroso”, e spiega come il Governo stia opprimendo non solo gli esseri umani, ma anche le altre forme di vita, attraverso leggi e DDL che minano la sicurezza degli animali, come quelle mirate all’abbattimento di cinghiali e orsi.
Infatti, in un contesto come quello odierno, in cui il governo cerca di ammutolire il dissenso, Geo Adragna sottolinea l’importanza di resistere il più possibile. “Le pratiche di disobbedienza civile creano disturbo, ma anche paura”, afferma l’attivista e continua chiarendo la necessità di tali azioni affinché le persone si allarmino su questioni come la crisi climatica ed ecologica e le disuguaglianze sociali.
La parola passa all’attivista antimafia Luisa Impastato, presidente di “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato”. La casa museo è stata dedicata alla memoria della Nonna Felicia e dello zio Peppino Impastato, due simboli di lotta sociale che ispirano ancora oggi le giovani generazioni. A 46 anni dall’omicidio di Peppino Impastato per mano di Cosa Nostra, il 9 maggio 1978, le pratiche di lotta sociale non violenta intraprese da Peppino fungono ancora come esempio. Jamil ha quindi chiesto a Luisa di raccontare Peppino come modello di dissenso e come l’occupazione di spazi si inserisse nelle battaglie intersezionali che intraprendeva.
"La storia della mia famiglia è diventata il mio mezzo di lotta per provare a dare un contributo al cambiamento, e lo faccio attraverso l’associazione, insieme a ragazzi e ragazze che, come me, portano avanti questa eredità morale che ci ha lasciato in particolare mia nonna Felicia”, sostiene Luisa. Felicia, che viveva in un contesto mafioso dove le donne erano assoggettate e costrette al silenzio, rompe questo schema e “inconsapevolmente dà continuità all’azione politica del figlio, mettendo semplicemente a disposizione se stessa, la sua voce”, con l’obiettivo di riscattarlo e riuscendo a trasformarla in una storia collettiva. “La storia di Peppino è una storia di continuità anche nelle pratiche”, sostiene Luisa. Infatti, l’idea di lotta contro la mafia di Peppino si inseriva in un percorso politico alla cui base vi erano giustizia sociale e uguaglianza. A Cinisi, Peppino, poco più che adolescente, organizza già proteste con i contadini, dove allora vi era “il mulinazzo”, territorio devastato per far spazio alla costruzione della terza pista dell’aeroporto “Punta Raisi”. L’aeroporto, nato per volere della mafia, è stato il centro del narcotraffico portato avanti da Gaetano Badalamenti, mandante dell’omicidio di Peppino. Iniziano così le sue pratiche di disobbedienza civile, tra cui si inserisce un’altra protesta per la costruzione di un’opera pubblica. Un pezzo di autostrada che poteva essere costruito in maniera lineare, ma viene fatto curvare ben tre volte con lo scopo di evitare l’esproprio dei terreni di proprietà della mafia. La denuncia avviene attraverso una mostra itinerante, durante la quale “per ovviare al problema della richiesta del suolo pubblico, portano in giro dei pannelli e, quando si fermavano, lì poggiavano sui loro piedi, non toccando il suolo pubblico”, racconta Luisa. Le proteste di Peppino avvenivano anche usando il proprio corpo come mezzo di lotta. In particolare, ricordiamo le proteste contro il nucleare; in un contesto reazionario e chiuso come quello di allora a Cinisi, desta molto scalpore la protesta durante la quale “per le strade del paese si vedevano tanti corpi a terra, mimando la morte nucleare”.
Il genio di Peppino emerge nella capacità di provocare e denunciare anche tramite l’arte, come racconta Luisa: “Una domenica, Peppino e i suoi compagni si presentano in giacca e cravatta nella piazza principale di Cinisi; si fanno prestare dai bar vicini dei tavoli e delle sedie. Si portano le tovaglie, le stoviglie, i bicchieri, il vino e la classica pasta al forno e mangiano al centro della piazza.” Questa azione provocatoria denota l’intento di riappropriazione di quello spazio.
Luisa conclude spiegando come le rivendicazioni di Peppino affrontassero tutti i temi sociali e che la lotta alla mafia avveniva attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione a sua disposizione, come la radio, i giornali e i comizi. “Chi si ispira a Peppino oggi crede nell’idea che lottare contro un oppressore significa lottare contro tutte le forme di oppressione”, conclude Luisa.
Per creare un ponte tra la Sicilia e il nord Italia, Jamil presenta Olmo di “Spazio Mutuo Soccorso Milano” e Nicola de “Il Cantiere” di Milano, due realtà gemelle. Il “Cantiere” è un centro sociale nel cuore della città che da 24 anni si occupa di tante lotte: dalla gentrificazione della città alla discriminazione delle seconde e terze generazioni di migranti, dalla questione ambientale a quella palestinese e a quella transfemminista. Il centro ospita quotidianamente giovani e dà loro la possibilità di fare attività e incontrarsi. “Fare parte del Cantiere come occupante è provare a guardare le cose in maniera diversa. Fare occupazione è anche un modo per creare un nuovo immaginario”, sostiene l’attivista Olmo. “Occupare è come accendere la luce”, perché è un modo di imparare che “quello che ti hanno insegnato a vedere in un certo modo può avere altre prospettive”, e sottolinea quanto sia importante, per poterle comprendere, approcciarsi a queste nuove visioni in modo attivo, vivendole da vicino e non solo teoricamente. L’occupazione non può però essere l’obiettivo, bensì dev’essere uno strumento di lotta.
“Spazio Mutuo Soccorso Milano” nasce invece nel 2013 nel comitato abitanti di San Siro, da una frase: “Altri mondi sono possibili”. All’interno vi è una componente abitativa, una palestra e una scuola popolare con corsi di italiano, un gruppo d’acquisto e un mercato di scambio e riutilizzo. “Lo spazio mutuo soccorso esiste e la sua forza non sta nelle palazzine, che abbiamo restituito alla città in 11 anni di occupazione, ma sta nelle pratiche e nelle attività di chi vive quegli spazi e tutte quelle persone che sono unite a noi da bisogni e desideri condivisi”, sostiene Nicola.
“Spin Time” a Roma è un’altra realtà che occupa e affronta molti temi, tra cui quello del diritto abitativo. Spin Time, occupato 10 anni fa da Action, ha una lunga storia alle spalle e con il tempo è diventato un centro di cultura e accoglienza che ospita 170 nuclei familiari in emergenza abitativa. Inoltre, “rappresenta un bene comune per la rigenerazione urbana, animato e costellato da realtà satelliti che ogni giorno offrono beni e servizi utili al territorio”, sostiene Jamil, e passa la parola a Giovanna Cavallo, chiedendole perché è importante occupare e qual è l'ingrediente che Spin Time ha trovato per conciliare l’occupazione e la rigenerazione urbana.
“Action è un movimento romano nato 20 anni fa che ha radici molto profonde in un contesto romano caratterizzato da una società civile attiva che ha provato a costruire risposte concrete a problemi inascoltati”, sostiene Giovanna. L’occupazione, in seguito, degli immobili privati nasce dalla necessità di mettere in luce il tema della violazione della proprietà privata “che secondo noi dev’essere messo in discussione nel momento in cui la proprietà privata governa la vita di tutti noi che non ci abbiamo nulla a che fare. Rendere strumenti finanziari interi immobili sottratti al valore d’uso dell'abitare, per noi significa avere una grande responsabilità, rispetto alla quale hai un debito verso la tua città e la comunità”, sostiene l’attivista. “Oggi trovare una casa nel mercato privato classista e razzista è impossibile”, sostiene Giovanna. L’inquilino, infatti, non è tutelato rispetto alle difficoltà della ricerca di un’abitazione derivanti dalla “strapotenza” del privato. “L’occupazione mette in gioco i nostri corpi come armi simboliche della resistenza”, sostiene Giovanna. A livello internazionale, sono molti i territori che gli occidentali sottraggono per creare profitto e per la propria sopravvivenza, decidendo la sorte di intere popolazioni e appropriandosi di risorse naturali. Giovanna conclude sostenendo che l'occupazione va legittimata perché strumento di costruzione di una nuova società.
Jamil sposta infine l’attenzione sul modello repressivo attuato da questo governo, culminato oggi nel DDL 1660. “Si sta assistendo a una progressiva limitazione della nostra libertà: la libertà dei nostri corpi, la libertà di stampa e, per concludere, con questo DDL sicurezza con cui si legittima ancora una volta una repressione”, sostiene Luisa Impastato. Bisogna difendere la memoria e non permettere che venga manipolata e cancellata e farne uno strumento di lotta, ma anche uno volto a interpretare e non sottovalutare parole e azioni che si ripetono nel tempo.