
CONFINI DI COSCIENZA

CONFINI DI COSCIENZA
Da economia dell’occupazione a economia del genocidio: il rapporto di Francesca Albanese sul business complice di Israele
Il confine tra ciò che comunemente definiamo come umanità e la sua totale nullificazione è, nel corso della storia, sempre stato qualcosa che determinasse la straordinarietà dell’uomo. Quella sua capacità di poter discernere ed essere cosciente, ne costituisce, ad oggi, la differenza con altre forme di vita. La fragilità di questo confine è nella probabilità che, una volta varcato, la vita vada ad annichilire la morte, e il Potere si mostri ancora più sfrontato. In questo passo decisivo, privo di innocenza, questa vita di cui parlo è la nostra, quella di noi che consumiamo e produciamo in questo mondo che abitiamo e che, intrecciata a dinamiche di potere, svuota di significato la vita di altri, tanto che neppure la loro morte, ai più, sembra emozionare. È dunque, tutto perduto?
INTRODUZIONE
Gli sforzi coloniali e i genocidi ad essi associati sono stati storicamente guidati e favoriti dal settore delle imprese. Gli interessi commerciali hanno contribuito all’espropriazione dei popoli e delle terre indigene – una modalità di dominazione nota come “capitalismo coloniale razziale”. Lo stesso vale per la colonizzazione israeliana delle terre palestinesi, la sua espansione nei territori palestinesi occupati e l’istituzionalizzazione di un regime di apartheid coloniale.
Il 30 giugno 2025 la Relatrice Speciale dell’ONU Francesca Albanese ha presentato al Consiglio per i Diritti Umani un rapporto intitolato “From Economy of Occupation to Economy of Genocide”, il documento accusa oltre 60 aziende internazionali di trarre profitto dalla distruzione sistematica della Striscia di Gaza e di contribuire direttamente o indirettamente a crimini che configurano genocidio.
L’indagine analizza le entità aziendali in vari settori: produttori di armi, aziende tecnologiche, imprese edili e di costruzione, industrie estrattive e di servizi, banche, fondi pensione, assicurazioni, università e associazioni di beneficenza.
Secondo Albanese, l’attuale campagna militare israeliana non si reggerebbe solo su decisioni strategiche, ma su una rete industriale e finanziaria che renderebbe l’aggressione “economicamente sostenibile”.
ASPETTI GIURIDICI
Nei Territori palestinesi occupati, decenni di gravi violazioni dei diritti umani e crimini documentati forniscono il contesto in cui i più recenti sviluppi giudiziari internazionali confermano, senza ambiguità, che qualsiasi coinvolgimento da parte delle imprese con elementi dell’occupazione israeliana risulta collegato a violazioni di norme di jus cogens e a crimini internazionali.
La Corte internazionale di giustizia (CIG) ha chiaramente affermato l’illegalità della presenza israeliana nei territori occupati, compresi l’esercito, le colonie, le infrastrutture e il controllo delle risorse naturali, citando tra le violazioni il regime di segregazione razziale e apartheid, la negazione del diritto all’autodeterminazione e il divieto dell’uso della forza.
Dall’ottobre 2023, le gravi atrocità commesse hanno dato luogo a procedimenti per genocidio presso la stessa CIG, e per crimini di guerra e crimini contro l’umanità presso la Corte penale internazionale (CPI). In una delle sue ordinanze, la CIG ha imposto a Israele di cessare ogni azione che contribuisca alla distruzione della vita palestinese. Inoltre, nel caso Nicaragua contro Germania, ha ribadito l’obbligo degli Stati di astenersi dal trasferimento di armi utilizzabili in violazione del diritto internazionale.
Alla luce di queste pronunce, le imprese hanno la responsabilità prima facie di non intrattenere — o di cessare immediatamente — qualsiasi forma di relazione economica, finanziaria o logistica con soggetti coinvolti nell’occupazione. Qualsiasi impegno nei confronti della popolazione palestinese deve essere conforme al principio del diritto all’autodeterminazione.
Il proseguimento delle attività economiche con Israele — inclusi settori pubblici, militari e privati legati ai territori occupati — può configurare responsabilità diretta o complicità per:
· la violazione del diritto dei palestinesi all’autodeterminazione;
· l’annessione e il mantenimento di un’occupazione illegale, configurando il crimine di aggressione e connesse violazioni dei diritti umani;
· crimini di apartheid e genocidio;
· altri crimini internazionali e violazioni accessorie.
Le normative penali e civili in diverse giurisdizioni possono essere applicate per accertare la responsabilità delle imprese e dei loro dirigenti per la partecipazione, diretta o indiretta, a violazioni dei diritti umani e a crimini di diritto internazionale.
IL REPORT: Dall’economia dell’occupazione coloniale all’economia del genocidio
In Palestina, le imprese hanno storicamente svolto un ruolo centrale nel facilitare e sostenere il processo di spostamento e sostituzione del popolo palestinese — un meccanismo chiave nella logica della cancellazione coloniale.
Queste entità hanno fornito un contributo materiale diretto, mettendo a disposizione di Israele armi, macchinari e tecnologie impiegati nella distruzione di abitazioni, scuole, ospedali, luoghi di culto e di svago, mezzi di sussistenza e risorse produttive come oliveti e frutteti. Hanno inoltre agevolato la segregazione e il controllo delle comunità palestinesi, ostacolando l’accesso alle risorse naturali. In tal modo, hanno sostenuto la militarizzazione e incentivato il consolidamento della presenza illegale israeliana nei Territori palestinesi occupati, contribuendo alla creazione delle condizioni necessarie per un processo sistematico di pulizia etnica.
Dopo l’ottobre 2023, quando il bilancio della difesa israeliana è raddoppiato e in un momento di calo della domanda, della produzione e della fiducia dei consumatori, una rete internazionale di società ha sostenuto l’economia israeliana.
Tra le imprese citate spiccano giganti della difesa come Elbit Systems, Israel Aerospace Industries, Rafael Advanced Defense Systems, Lockheed Martin, Boeing, General Dynamics, Leonardo, Airbus, tutte fornitrici di armamenti utilizzati nei bombardamenti o nelle incursioni di terra contro Gaza.
Nel settore tecnologico, il report evidenzia il ruolo di diverse multinazionali coinvolte nel rafforzamento delle capacità di sorveglianza e controllo dello Stato israeliano. Tra queste, Palantir Technologies, che fornisce software di sorveglianza alle autorità israeliane, e Google e Amazon, entrambe coinvolte nel controverso progetto Nimbus, una piattaforma di cloud computing sviluppata per il governo israeliano. Anche colossi come IBM, HP e Microsoft sono accusati di contribuire alle infrastrutture digitali utilizzate nei checkpoint e nei Territori occupati, incluse tecnologie di riconoscimento facciale e sistemi di monitoraggio.
“Microsoft è attiva in Israele dal 1991, dove ha sviluppato il suo più grande centro operativo al di fuori degli Stati Uniti. Le sue tecnologie sono integrate nel sistema penitenziario, nella polizia, nelle università e nelle scuole, comprese quelle presenti nelle colonie. Dal 2003, Microsoft fornisce tecnologie civili integrate nelle forze armate israeliane, acquisendo nel frattempo start-up israeliane specializzate in sorveglianza e sicurezza informatica.”
Anche aziende tradizionalmente legate al settore delle costruzioni giocano un ruolo rilevante, fornendo veicoli pesanti e blindati, spesso modificati per scopi militari. Bulldozer Caterpillar D9, escavatori Hyundai e Volvo, e altri mezzi da costruzione vengono regolarmente impiegati non solo per demolire abitazioni palestinesi o costruire infrastrutture coloniali, ma anche come strumenti tattici nelle operazioni militari a Gaza. Tali mezzi sono stati utilizzati per abbattere infrastrutture civili, come ospedali e scuole, assumendo così una funzione chiaramente militare, e non esclusivamente logistica o edilizia.
Numerose istituzioni finanziarie internazionali facilitano l’accesso di Israele ai mercati dei capitali, mitigando gli effetti economici derivanti dalle violazioni del diritto internazionale. Tra queste, BNP Paribas e Barclays hanno sottoscritto titoli di Stato israeliani dopo il declassamento del credito, contribuendo a contenere il premio sui tassi d’interesse.
La Development Corporation for Israel (DCI), attraverso l’emissione di Israel Bonds, ha triplicato le vendite annuali dopo ottobre 2023, raccogliendo quasi 5 miliardi di dollari da investitori istituzionali e privati, anche attraverso programmi che devolvono i rendimenti a enti che supportano l’esercito israeliano e le colonie.
Società di gestione patrimoniale come BlackRock, Vanguard e PIMCO (Allianz) detengono partecipazioni rilevanti in aziende direttamente coinvolte nell’occupazione e nelle operazioni militari israeliane. Tra queste figurano Palantir, Microsoft, Amazon, Alphabet, IBM, Caterpillar, Chevron, Lockheed Martin ed Elbit Systems. Tali investimenti sono spesso veicolati attraverso fondi comuni e fondi indicizzati (ETF), coinvolgendo indirettamente istituzioni, fondi pensione e piccoli risparmiatori.
Diverse università continuano a mantenere legami economici e accademici con entità coinvolte nell’occupazione, nonostante l’escalation delle violazioni. L’Università di Edimburgo, ad esempio, detiene circa 31,7 milioni di dollari(2,5% del proprio fondo di dotazione) in azioni di imprese tecnologiche coinvolte nell’apparato di sorveglianza israeliano e collabora attivamente con imprese legate al complesso militare-industriale, come Leonardo S.p.A. e l’Università Ben Gurion, attraverso laboratori di ricerca applicata in intelligenza artificiale e data science.
Il documento non ha valore giuridico vincolante, ma rappresenta un’esortazione affinché la responsabilità aziendale nei conflitti armati venga affrontata con la stessa serietà con cui si giudicano gli attori statali.
“Il genocidio non è solo un crimine, è anche un affare e va combattuto su entrambi i fronti”. Conclude Albanese.
Affinché nulla sia perduto, abbiamo ancora la possibilità di scegliere da che parte del confine stare. Possiamo farlo — e, in difesa della nostra stessa umanità, abbiamo il dovere di informarci, di comprendere e di diventare testimoni consapevoli.
Affinché nulla sia davvero perduto, è necessario che responsabilità e giustizia prevalgano, ponendo fine ai profitti di un’economia di occupazione trasformatasi in genocidio.
Dopo i provvedimenti sanzionatori adottati dagli Stati Uniti d’America, in questo articolo riaffermiamo pieno sostengo alla persona e al lavoro di Francesca Albanese,
e quindi al diritto alla verità, alla dignità dei popoli oppressi, e alla possibilità di costruire un mondo fondato sul rispetto della legalità internazionale e non sulla legge del più forte.
Il buio della notte non è l’unico colore del cielo, le luci dipendono da tutti noi.
Non smettiamo mai di parlarne, continuiamo a boicottare, mai smettendo di sognare una Palestina libera.