
Il futuro sul palco: in via d’Amelio i giovani prendono in mano la memoria

Il futuro sul palco: in via d’Amelio i giovani prendono in mano la memoria
Le voci fresche della società civile denunciano silenzi di Stato, depistaggi e chiedono verità senza compromessi
Quest’anno, 19 luglio 2025, a 33 anni dalla strage di via d’Amelio, Salvatore Borsellino ha fortemente voluto che il palco della commemorazione dell’attentato che colpì il fratello Paolo e gli agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Claudio Traina, Eddie Walter Cosina e Vincenzo Li Muli, fosse concesso a coloro che rappresentano il futuro, i giovani. Un’opportunità per dibattere, ma anche un gesto che legittima la nostra voce e ci lascia il testimone della sua instancabile lotta per la verità.
Le voci giovanili coinvolte sono state: Andrea La torre (attivamente), Nino Morana Agostino (nipote di Vincenzo Agostino), Olga Giunta (CGIL), Luca Grossi (ANTIMAFIADuemila), Francesco Amante (UDU) e Rosario Alario (collettivo Rutelli).
A moderare il dibattito dal titolo “ Giovani e Antimafia: contro silenzi e depistaggi” è stata Marta Capaccioni di Our Voice. Il suo discorso, acceso e diretto, scuote la piazza e rompe ogni formalità commemorativa. Marta con tono fortemente critico chiede l’immediata ricostituzione della Commissione parlamentare antimafia e le dimissioni della sua attuale presidente, Chiara Colosimo, accusata di non essere idonea a rappresentare un’istituzione di tale valore e auspicando che non abbia “ il coraggio di presentarsi tra qualche ora su questa strada" (come invece ha fatto a notte fonda). La presenza istituzionale non può ridursi a una parata ipocrita, né essere rappresentata da figure che screditano il valore costituzionale della Commissione e che attualmente, accusano i familiari delle vittime di mafia, sta riscrivendo la storia delle stragi.
Una commissione che non può essere condizionata dalle parole di Mario Mori, il quale “anche se assolto nel processo trattativa Stato-mafia nel colpo di spugna della Corte di Cassazione ha di fatto tradito i propri doveri istituzionali e agito alle spalle di quei magistrati che avrebbe dovuto proteggere” sostiene con forza Marta Capaccioni. A destare preoccupazione è il fatto che la ricerca della verità venga oggi pilotata“ da una persona attualmente indagata per strage dalla Procura di Firenze”, coinvolta nei depistaggi e nelle ombre su via D’Amelio.
“Noi di fronte a tutto questo ci dobbiamo ribellare e vogliamo tutta la verità”, ha continuato, sottolineando come non bastino più le commemorazioni formali e le parole vuote. “Da questo Governo non vogliamo l'ipocrita esposizione del giudice Borsellino, ma l’apertura dei cassetti dei ministeri, delle questure e degli archivi dei servizi segreti, per far emergere la verità sull’agenda rossa”.
“Siamo felici che questo palco non sia mai stato trasformato in un monopolio privato della memoria o in uno sterile mausoleo” asserisce Marta rivendicando un uso del luogo che mantenga viva la battaglia per la giustizia e contro l’oblio. Ringrazia Salvatore Borsellino per l’onore e lo spazio concessi per esprimere la sana indignazione dellə giovani della società civile che anche non avendo vissuto fisicamente le stragi, conclude Marta, non si stancheranno mai di pretendere tutta la verità.
Il primo intervento è stato quello di Nino Morana, nipote di Vincenzo Agostino che ricorda la lunga battaglia dei nonni Vincenzo e Augusta: “Hanno girato l’Italia per trent’anni chiedendo verità e giustizia per i loro figli. Mio nonno diceva che senza prendere i pupari, l’Italia non sarebbe mai stata davvero libera”.
Alla domanda se oggi si stia andando nella direzione giusta, la risposta è netta: “Nei miei 23 anni di vita non ho mai visto un reale interesse dello Stato a cercare i burattinai delle stragi. Né governi di destra né di sinistra hanno voluto scoperchiare quei sepolcri imbiancati”.
Nino Morana ha denunciato con forza l’attuale clima politico: “Siamo in un periodo nero. Si preferisce una verità comoda, e si attaccano voci scomode come Scarpinato e Di Matteo, che la Commissione Antimafia vuole estromettere con una legge vergognosa”.
Si è espresso anche in merito all’articolo 31 del decreto sicurezza: “Dà piena impunità ai servizi segreti, gli stessi che hanno depistato e coperto crimini nel nostro Paese”.
Infine conclude il suo intervento con l’accusa più forte: “I pupari sono ancora qui. Finché non emergeranno le responsabilità dietro le stragi, l’Italia non potrà essere una vera democrazia. La Costituzione antifascista è stata macchiata di sangue, e la stanno ancora sporcando”.
La parola passa ad Andrea La Torre, giovane del movimento Attivamente che ha spiegato con forza perché tanti ragazzi e ragazze, pur nati dopo le stragi del ‘92-’93, continuano a sentire urgente il dovere della memoria e della giustizia: “Abbiamo un debito da ripagare, lo diceva Paolo Borsellino, e dobbiamo farlo con gioia, continuando l’opera dei nostri martiri”.
La riflessione si è allargata al significato profondo dell’antimafia: “Essere contro la mafia non significa solo essere contro Cosa Nostra, ma contro ogni sistema di potere basato su prevaricazione, sfruttamento e arricchimento di pochi a discapito di molti”.Andrea La Torre ha sottolineato che la lotta alla mafia è anche lotta contro un sistema di potere che comprende “mafia, politica, affari e massoneria”: “La mafia è chi la favorisce, chi la comanda. Non basta combatterla come fenomeno criminale, va combattuto il potere che la sostiene”.Si vuole ridurre le stragi del ‘92-‘93 a “ mera criminalità mafiosa” e si porta avanti una narrazione con lo scopo preciso di “ cancellare la natura politica delle stragi del ‘92 e ‘93. Si vuole chiudere tutto nel passato, come se fosse finito”.
“La vera antimafia si fa con gli ospedali, con i trasporti, con l’istruzione pubblica”, ha aggiunto, citando l’insegnamento morale e culturale di Borsellino. Invece, come sostiene Andrea La Torre, i giovani vengono accusati di fare politica con l’antimafia. Il vero problema però “non sono i giovani che scendono in piazza. Il problema è una politica che non fa antimafia”.L’intervento si è concluso con un omaggio a Salvatore Borsellino, definito “condottiero della resistenza delle coscienze”, e con un’immagine simbolica:
“Sogno un Paese dove ci si alzi in piedi come ne ‘L’attimo fuggente’. Capitano mio capitano, noi resistiamo. Continueremo a rompere il silenzio, perché senza verità e giustizia non ci sarà mai democrazia”.
Olga Giunta, rappresentante della CGIL, ha spiegato il significato profondo del recente referendum promosso dal sindacato per la sicurezza sul lavoro e contro la precarietà.
“Se avessero votato solo i giovani, il quorum sarebbe stato superato. Questo dimostra che la nostra è una battaglia generazionale, e si chiama libertà”. Così ha esordito Olga, mettendo in luce la fondamentale importanza del ruolo dei giovani in questa società, anche in relazione ai risultati emersi post-referendum di inizio giugno su lavoro e cittadinanza. “I giovani hanno risposto, perché finalmente qualcuno parlava delle loro condizioni, non per propaganda ma con un progetto concreto di futuro”, sostiene Olga il tema del lavoro, è profondamente e inevitabilmente legato anche a quello della legalità. Le organizzazioni mafiose, è stato ricordato, si insinuano dove c’è isolamento, debolezza e sfiducia nelle istituzioni. Da qui la necessità di una rivoluzione culturale e morale, come auspicava Paolo Borsellino, che parta proprio dai giovani.Una rivoluzione, spiega Olga, che si costruisce sul territorio, attraverso presidi di legalità, iniziative concrete e alternative reali per chi cresce in contesti difficili. Perché, come insegnano figure come Placido Rizzotto e Pio La Torre, la dignità del lavoro è il primo argine alla criminalità organizzata. E la lotta per i diritti diventa anche una battaglia di giustizia.
A seguire, Francesco Amante, portavoce del sindacato studentesco UDU, ha denunciato il ruolo passivo dell’università nel trattare la storia delle stragi e della legislazione antimafia.
Le università, per loro natura, dovrebbero essere luoghi di pensiero critico e ricerca. Eppure, da anni stanno fallendo in questo compito, nascondendo la polvere sotto il tappeto e aderendo alla narrazione distorta che si propone in relazione alle stragi.
“È inaccettabile che nelle aule di giurisprudenza si definisca il maxiprocesso un errore giudiziario. Fu un pilastro nella lotta alla mafia”, ha detto il primo passo spetta al corpo docente, chiamato ad assumersi la responsabilità di fare luce su anni di ombre e omissioni. Ma anche gli studenti hanno un ruolo cruciale: condividere domande, generare pensiero critico, e pretendere verità.
“I docenti hanno una responsabilità enorme: devono dire la verità, non alimentare il silenzio”, ma anche gli studenti hanno il ruolo cruciale di porsi domande, sviluppando il proprio pensiero critico e pretendendo la verità assoluta.
Concludendo il suo intervento, Francesco Amante rivendica il dovere morale di opporsi alla corrente attuale del revisionismo storico. “Lo dobbiamo a chi ha sacrificato la vita nella lotta alla mafia”
Dello stesso pensiero è Rosario Alario del collettivo Rutelli, che apre il suo discorso criticando l’idea propinata dalle scuole che la mafia sia stata sconfitta dallo Stato. Una visione che ignora la realtà di una collaborazione tra pezzi di Stato e criminalità organizzata e che riduce la mafia a un fatto meramente folkloristico, quando invece ad oggi si veste in giacca e cravatta e si annida tra i palazzi del potere.
Ma i giovani si ribellano a questa visione distorta: “Ci dicono che siamo il futuro, ma noi siamo il presente. E quando proviamo a prenderci questo spazio, veniamo zittiti con i manganelli o con cerimonie anticipate che svuotano di significato il ricordo”, afferma con forza.
Il motivo per cui non tutte le giovani voci prendono posizione, sicuramente risiede nell'assenza di una vera educazione all’antimafia e alla volontà di tenere le generazioni nell’ignoranza, piuttosto che guidarle nel processo di cambiamento.
Infine, ha messo in discussione l’efficacia delle commemorazioni ufficiali: “Spesso sono sterili e si trasformano in strumentalizzazioni propagandistiche.” E ha concluso rivendicando il diritto alla verità: “Noi come sindacati studenteschi possiamo cercare di avere ciò che è nostro di diritto.”
L’ultimo giovane a prendere la parola è stato Luca Grossi, giornalista di Antimafia Duemila che apre il suo discorso con una citazione di Leonardo Sciascia: “Se lo Stato un giorno decide di combattere veramente la mafia vuol dire che ha deciso di suicidarsi.”
Il focus del suo discorso è stata proprio l’introvabile agenda rossa di Paolo Borsellino, che contiene la chiave per fare luce sulla strage di Via d’Amelio e individuare il motivo della mancata volontà politica di fare chiarezza. “Chi ce l’ha? Avremmo potuto chiederlo all’ex colonnello Mario Mori in Commissione Antimafia”, ha dichiarato, accusando la presidente Colosimo di aver “fatto da scudo” e impedito risposte concrete dell’ex generalo audito a Palazzo San Macuto.
“La classe politica e dirigenziale di questo paese non ha nessun interesse a trovare l’agenda rossa.” Infatti se l’agenda contenesse principalmente del materiale riconducibile all’inchiesta Mafia-appalti, “oggi sarebbe usata quotidianamente da chi guida la cavalleria revisionistica”, sostiene Luca Grossi. Ha poi definito “macabro” l’atto di esporre la borsa vuota di Borsellino alla Camera dei Deputati, considerandola “il trofeo dello Stato-mafia.”Inoltre, invita i giovani ad essere “una piccola avanguardia di una nuova visione dello Stato” e sostiene con forza che “non saremo mai liberi se non ci libereremo di questi indicibili segreti”.
A conclusione del dibattito, Salvatore Borsellino è salito sul palco e ha espresso la propria emozione nel passare il testimone alle nuove generazioni che ha definito forti e coraggiose. “Oggi sono loro la mia speranza. Sentendo questi ragazzi io riprendo forza. E adesso è il loro tempo.”
Prima di scendere, si è rivolto ai giovani partecipanti, sostenendo: “Il 19 luglio, su questo palco, voi ci potrete venire sempre. Altre persone non ci verranno mai.”