
Un confronto intenso, tre prospettive diverse e un obiettivo comune: raccontare cosa accade ogni giorno nel Mediterraneo e nelle periferie italiane. È il senso di “Oltre i confini: voci e diritti in movimento”, talk della Rassegna “Resistenz3” di Our Voice moderato da Karim El Sadi, volontario dell’associazione, con Alessandra Sciurba, docente e coordinatrice della Clinica legale per i diritti e le migrazioni dell’Università di Palermo, Utibe Joseph, dell’associazione “Dalla parte giusta della storia”, e Mustafa Jarjuru, del movimento “Right to Be”.
“Questo incontro nasce con un obiettivo chiaro: capire lo stato delle cose, analizzare i drammi ma anche gli obiettivi da raggiungere e i pregiudizi da abbattere”, ha spiegato El Sadi aprendo la serata. In un Paese che si definisce terra d’accoglienza, ha osservato, la distanza tra parole e fatti resta abissale.
Per Sciurba, parlare di immigrazione significa prima di tutto riflettere sul linguaggio. “Come nominiamo le persone? Come raccontiamo le loro vite? Spesso trasformiamo i migranti in numeri, flussi, problemi. Dobbiamo ricominciare da una parola fondamentale: umanità”.
La docente ha presentato “Perché ero ragazzo” (Sellerio), raccolta di lettere di Ala Al-Farage, giovane libico condannato a trent’anni di carcere dopo essere sopravvissuto alla strage di Ferragosto del 2015, in cui morirono 49 persone. “Ala aveva vent’anni quando è stato arrestato. Da dieci anni vive in cella per un crimine che non ha commesso. È il simbolo di un sistema che criminalizza i migranti e le ONG, mentre tace sui veri trafficanti, spesso protetti dagli Stati.”
Sciurba ha ricordato come l’attuale gestione dei confini sia figlia del Memorandum Italia-Libia del 2017, “firmato non da un governo di destra, ma da un esecutivo progressista. È la prova che la cultura del controllo e della paura è trasversale”. Le immagini delle navi civili attaccate, come Sea-Watch o Ocean Viking, non fanno più notizia. “Ci stiamo abituando all’orrore, e quando l’orrore diventa routine, la democrazia muore in silenzio.”
La parola passa a Utibe Joseph, attivista per il diritto di cittadinanza: “Il razzismo sistemico non è solo un insulto o una discriminazione: è scritto nelle leggi, dentro le istituzioni.” Il riferimento è alla legge 91 del 1992, fondata sullo ius sanguinis. “Se nasci qui ma i tuoi genitori sono stranieri, non sei italiano. Lo diventi a diciotto anni, se dimostri di non essere mai uscito dal Paese. In pratica, devi meritarti ciò che dovrebbe essere un diritto.”
Utibe racconta la storia di sua madre, infermiera in Italia dal 1996: “Dopo trent’anni di lavoro, la sua domanda di cittadinanza è stata respinta per un errore burocratico. Non può partecipare ai concorsi, non ha accesso a certi diritti. Questo è razzismo istituzionalizzato.”
Il terzo intervento, quello di Mustafa Jarjuru, riporta il tema sul terreno del lavoro. “Chi arriva in Italia ha già attraversato inferni. Ma qui trova un altro inferno: quello della burocrazia e del caporalato.” Nei campi agricoli, racconta, le condizioni sono disumane: dodici ore di lavoro, due o tre euro l’ora, nessuna tutela. “Molti dicono che i migranti vogliono fare quei lavori. No: li fanno perché non hanno scelta. La schiavitù oggi non ha catene di ferro, ma scadenze, permessi e contratti finti.”
Il filo rosso che attraversa gli interventi è la paura. “È la lingua del potere – spiega Sciurba –. Si creano leggi che producono marginalità e poi si usa quella marginalità per giustificare nuove leggi repressive. È un meccanismo perfetto: paura, repressione, emarginazione, ancora paura.”
Utibe aggiunge: “La disinformazione è parte del sistema. Si parla di sicurezza per non parlare di diritti. Si criminalizza chi denuncia, si normalizza chi tace. Così la paura diventa linguaggio di governo.”
Eppure, nel finale, emerge un barlume di speranza. “In queste settimane – ha concluso Sciurba – stiamo assistendo a una presa di coscienza collettiva. Studenti, lavoratori, associazioni che non accettano più il silenzio. È dal basso che si difende il diritto internazionale, mentre i vertici lo tradiscono.”
Citazione dopo citazione, il pensiero si chiude con le parole di Michel Foucault: “Finché ci sono navi, i sogni resistono.”
Quelle navi – Sea-Watch, Sumud Flotilla, Ocean Viking – sono simboli di un’umanità che non si arrende. “Per questo vogliono distruggerle – dice Sciurba –: perché ricordano che un’altra umanità è ancora possibile.” Lla resistenza, infatti, non è solo memoria, ma gesto quotidiano. È cura, è immaginazione, è la capacità di restare umani quando tutto intorno a noi ci invita a smettere di esserlo. “Difendere i diritti dei migranti - ricorda Sciurba - significa difendere il futuro dell’umanità”.