Resistenzə: La causa palestinese e il sionismo. Per fermare Israele servono federalismo del dissenso e sanzioni
Di Paco De Nuzzo
Genocidio in Palestina, uno dei più documentati della storia e incredibilmente anche il più taciuto e distorto a livello informativo. Poi lo stato di occupazione e di apartheid nei territori palestinesi occupati. Il sionismo: cos’è, com’è nato, qual è l’obiettivo dei sionisti? E quali sono le responsabilità occidentali nella pulizia etnica del popolo palestinese? Come può quest’ultimo raggiungere la liberazione e ottenere i propri diritti?
Di questo e tanto altro abbiamo parlato nella seconda giornata della rassegna “Resistenz3”, svolta il 27 settembre ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo. A parlarne, ospiti importanti e testimoni diretti della questione palestinese. La prima a prendere parola, intervistata da Marta Capoccioni, è stata Francesca Albanese, collegata in streaming. Punto di partenza è stato il suo ultimo libro “J’accuse”, che raccoglie la testimonianza della Relatrice speciale ONU sui territori palestinesi occupati da Israele dal 1967. La verità prima di tutto è l’inizio del più famoso J’Accuse della storia moderna, quello di Émile Zola. La verità prima di tutto è anche il movente che ispira questo J’Accuse, che ha l’obiettivo di dimostrare in maniera incontestabile, attraverso il prezioso lavoro svolto da Francesca Albanese e confluito in tre rapporti internazionali, l’affermarsi di una condizione di apartheid e di un’occupazione neocoloniale con migliaia di vittime. Ma è anche un monito nei confronti del sistema tutto, complice dell’impunità di cui Israele gode da oltre 75 anni.
Dopo il lavoro terminato nel mese di marzo 2024, la Albanese arriva alla conclusione che quanto sta succedendo in Palestina costituisce una violazione dell’art. 2 della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio adottata nel 1948. In merito a questo fatto, ha affermato: “Il genocidio non è solo nelle camere a gas a danno degli ebrei; al tempo stesso, il genocidio, ce lo dice il diritto internazionale, non è solo l’Olocausto, è la distruzione di un popolo, di un gruppo attraverso atti criminali, mediante la creazione di condizioni di vita che portano alla distruzione del gruppo stesso”.
Si è toccata anche la tematica del diritto internazionale. La relatrice ha ricordato che in materia di politica internazionale il diritto internazionale ha la stessa valenza delle leggi che un parlamento fa in uno Stato. Nonostante quest’anno siano stati intentati due processi da Sudafrica e Nicaragua nei confronti di Israele e Germania, e la Corte di giustizia internazionale si sia pronunciata sull’illegalità totale dell’occupazione israeliana (militare e civile) a Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est, il diritto internazionale si è dimostrato comunque inefficace nei confronti di Israele.
“Nonostante in Italia non si applichi la giurisdizione universale, per cui non si possono portare in giudizio responsabili di crimini di guerra o di crimini contro l’umanità o genocidio, si possono condannare aziende che continuano a commerciare con Israele e si deve essere vigili sull’operato della stampa, ormai trasformatasi nel megafono dell’esercito e del governo israeliano”, ha concluso Francesca.
Gaza, prigione a cielo aperto più grande al mondo
Poi è stato il turno di Iacopo Smeriglio, attivista di Gaza Freestyle, che è più volte stato nella Striscia di Gaza. Smeriglio ha illustrato la situazione nell’enclave prima del 7 ottobre, sfatando quel mito scellerato impresso dalla stampa nell’immaginario collettivo che dipinge gli oltre due milioni di palestinesi di Gaza come popolazione abituata a vivere nell’oppressione e nella guerra.
“Gaza, prima del 7 ottobre, era la prigione a cielo aperto più grande del mondo, sensazione che raggiunge chiunque superava il valico di Eretz dopo interminabili controlli e interrogatori, che rappresentano la quotidianità di migliaia di lavoratori palestinesi costretti a recarsi da Gaza alle colonie israeliane. Ma al tempo stesso Gaza all’interno pulsava di vita, nonostante l’occupazione militare israeliana”, ha esordito Iacopo Smeriglio.
Non diversa è la situazione in West Bank. Dal racconto dei fatti che Iacopo ha vissuto quando è stato nei territori palestinesi occupati, il messaggio è chiaro: entrare in contatto con quelle storie implica responsabilità, perché dinanzi alla consapevolezza di come vivono i palestinesi in quelle terre, non si può dopo non prendere parte alla resistenza di quel popolo.
La loro resistenza è azione, dall’arte alla cultura, arrivando fino allo sport e alla sacralità di mantenere vive le tradizioni e le memorie dei palestinesi, con la convinzione che un giorno arriverà la liberazione. Quindi resistenza come elemento identitario, di rivendicazione dell’esistenza.
Altro argomento di cui si è discusso è il ruolo degli attivisti internazionali, i quali, secondo Iacopo, devono continuare a fare pressione sui vari governi affinché interrompano qualsiasi accordo di collaborazione con Israele: “E questo diverse università, a partire da quella di Palermo qui in Italia, ci hanno dimostrato che è possibile”, ha ricordato.
Dopo aver letto la testimonianza di un suo amico che vive tutt’ora nella Striscia di Gaza sull’impossibilità da parte dei palestinesi di condurre una vita “normale” dopo il 7 ottobre, l’attivista ha concluso il suo intervento ribadendo un concetto fondamentale: “Il genocidio in corso è il risultato di un lungo processo che si è potuto realizzare solo grazie al silenzio della comunità internazionale; nonostante questo, il popolo palestinese si libererà. Anche noi qui in Italia dobbiamo fare la nostra parte, perché quello che accade in Palestina ha a che fare con il significato profondo della giustizia e della libertà, quindi è una responsabilità di tutti noi”.
Sionismo, l’origine del dramma della Palestina
Nel presentare inizialmente gli ospiti, Marta ha sottolineato l’imprescindibilità, quando si parla di Palestina e della sua liberazione, di farlo con i palestinesi. È stata quindi data la parola a Karim El Sadi, presente al dibattito in veste di rappresentante della comunità palestinese di Palermo.
Con lui abbiamo parlato delle origini storico-politiche del progetto sionista e di quello che accade da più di 70 anni nei territori occupati della Palestina.
“Il sionismo è il male di tutti i mali per noi palestinesi”, ha sentenziato senza mezzi termini El Sadi. Partendo dalle stesse dichiarazioni del giornalista Theodor Herzl, fondatore del sionismo, si evince chiaramente che l’obiettivo sia la pulizia etnica della Palestina, la cacciata della popolazione indigena dai propri territori.
Karim ha successivamente spiegato cosa ha significato la nascita dello Stato di Israele nel 1948 per i palestinesi, in arabo chiamata “Nakba” (catastrofe in italiano), perché non c’è altro termine per definire lo sfollamento di 700.000 persone, la distruzione di 400 villaggi e il sangue versato a causa dei massacri e delle torture da parte delle milizie sioniste.
Venendo alla situazione attuale, ha affermato: “Quello che sta accadendo oggi non è nulla di nuovo sotto al sole, è solo la persecuzione di un progetto coloniale in tutti i sensi; non è solo pulizia etnica a Gaza, ma anche in West Bank, in tutta la Palestina”.
“Parlare di Palestina è vietato in Palestina, così come manifestare o solo pubblicare qualcosa sui social”, ha continuato, dal momento che si viene arrestati con accuse inconsistenti e si viene reclusi in detenzione amministrativa (regime detentivo unico al mondo che viola la 4ª Convenzione di Ginevra), che può essere rinnovata di 6 mesi in mesi, fino ad arrivare a situazioni in cui c’è gente che è tutt’ora in carcere da anni senza conoscerne i motivi.
In merito al ruolo dell’Autorità Nazionale Palestinese, Karim ha precisato che, nonostante sia riconosciuta come l’unica autorità governativa da parte degli altri governi, il 90% della popolazione nutre in essa una totale sfiducia, per via della sua collaborazione nel mantenere il popolo palestinese sotto il giogo israeliano.
Dalle parole di Karim emerge come in Israele il diritto internazionale e umanitario sia mera carta straccia, tanto che Karim stesso ha fatto notare che “il diritto internazionale non esiste più da quando esiste Israele”, per il semplice fatto che “Israele ha violato almeno 70 risoluzioni dell’Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza dell’ONU”.
Infine, tutto quello che i palestinesi sono costretti a subire oggi giorno accade anche per la complicità del nostro Paese, l’Italia, che oltre ad essersi quasi sempre astenuta da tutte le risoluzioni di cessate il fuoco negli ultimi 11 mesi, è la terza fornitrice di armi a Israele.
“Possiamo solo confidare in noi stessi e nelle nostre forze, come abbiamo sempre fatto a partire dalla prima intifada”, ha concluso El Sadi.
L’influenza delle lobby israeliane negli USA e in Europa
È stata presente al dibattito anche Elena Basile, già ambasciatrice italiana in Belgio e in Svezia, la quale recentemente ha scritto il libro “L’Occidente e il nemico permanente”, la cui seconda parte è dedicata alla ricostruzione in modo oggettivo del conflitto Israele-Palestina, che è un fallimento della politica internazionale.
“È un fallimento perché, quando si tratta di votare una risoluzione per il cessate il fuoco, a votare contro sono gli Stati Uniti, l’Italia e l’Europa, che non tolgono solidarietà a Israele nemmeno dopo il genocidio che sta commettendo, che, come ha precedentemente dichiarato Francesca Albanese, è un fatto riconosciuto dalla Corte internazionale di giustizia”, ha detto la Basile.
L’appello dell’ex ambasciatrice è di non cadere nella trappola dei media mainstream, per cui appena si cerca di difendere la causa palestinese immediatamente si diventa antisemiti, com’è stato il caso di chi in televisione non si è modulato a seconda del giornalista che aveva di fronte, ma che con forza ha avuto il coraggio di ribadire la verità.
“L’unico modo di far trionfare la causa palestinese è purtroppo la politica e la diplomazia”, ha sostenuto la Basile, dal momento che un spiraglio sembra provenire da Kazan (Russia), dove si è svolto l’ultimo vertice dei BRICS, in cui si è deciso di rappresentare lo Stato della Palestina, a differenza dell’Europa, che non esercita ormai da tempo una sua politica estera, totalmente in mano ai diktat USA.
Dinanzi allo strapotere delle lobby sioniste, capaci di condizionare anche la politica statunitense, l’invito della Basile è quello di continuare a testimoniare la verità, manifestare, federare il dissenso e capire che la lotta per la Palestina è anche una lotta contro l’imperialismo americano, vero sostenitore del sionismo colonialista.
L’appello della comunità palestinese di Palermo
Il panel è stato chiuso da un breve intervento di Zaher Darwish, presidente dell’Associazione “Voci nel silenzio”, che rappresenta la comunità palestinese di Palermo.
“Si può dire tutto, ma non si può dire che Israele è uno stato terrorista che sta compiendo un genocidio”, si è espresso così Zaher, denunciando la situazione di silenzio e complicità che si respira anche in eventi culturali a favore della Palestina.
Vanno dunque ricostruiti i parametri della politica e del diritto umano dei popoli, e per iniziare a farlo Darwish ha invitato tutti a partecipare il 5 ottobre alla manifestazione nazionale che si terrà a Roma, tappa fondamentale per conquistare spazi di democrazia che ci stanno progressivamente togliendo e per portare la nostra solidarietà alla resistenza palestinese, oggi più che mai.