
Alla rassegna “Resistenzə”, il magistrato Sebastiano Ardita e i giornalisti Giorgio Bongiovanni e Maddalena Oliva spiegano come le misure del governo sull’apparato giudiziario stiano minando la lotta quotidiana contro le organizzazioni mafiose.
“Riforme e potere: la nuova frontiera dell'antimafia”. È stato questo il titolo scelto per l’ultimo talk della rassegna culturale “Resistenzə”, organizzata negli spazi del Cre.Zi. Plus di Palermo. Sul tema sono intervenuti Giorgio Bongiovanni, direttore di ANTIMAFIADuemila, Maddalena Oliva, vicedirettrice del Fatto Quotidiano (collegata online), e Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Catania.
Il dibattito, moderato da Marta Capaccioni di Our Voice, si è incentrato sulla riforma della giustizia e sul progressivo indebolimento del sistema delle collaborazioni, uno strumento che – secondo Giorgio Bongiovanni – “è la password per scardinare Cosa nostra e tutte le organizzazioni criminali, un’arma che negli anni ’90 ha permesso di condannare praticamente tutta la cupola mafiosa e i mandanti interni delle stragi”.
Il direttore ha denunciato “un depistaggio sistematico della verità sulle stragi” e una volontà di “riscrivere la storia del Paese”, aggiungendo: “quando i pentiti alzano il tiro e iniziano a rivelare segreti di Stato, quando Cancemi racconta che Riina diceva di mettersi nelle mani di Dell’Utri e Berlusconi, la politica interviene per fermare tutto. Non perché i mafiosi dicano bugie, ma perché rischiano di svelare verità che non dobbiamo sapere”.
Riguardo ai segreti di Stato, Bongiovanni ha aggiunto: “Dietro a quasi tutte le stragi che hanno colpito l’Italia, c’è la mano dei servizi segreti americani. E quindi, la Cia. Anche nella strage di Capaci, questa sarebbe la ragione dietro l’estromissione del magistrato Roberto Scarpinato dalla Commissione parlamentare antimafia, lui disturba quel sistema di potere che vuole insabbiare la verità”. Il rischio, secondo Bongiovanni, è che “l’Italia finisca come l’Uruguay, dove i magistrati non possono indagare senza l’autorizzazione del governo”.
Il suo intervento si è concluso soffermandosi sulla nascita di Forza Italia, che – a suo dire – non fu un semplice evento politico, ma il frutto di un patto tra criminalità organizzata e poteri occulti: “Forza Italia, che oggi siede ancora nei ministeri, è stata fondata dalla mafia. Dell’Utri, co-fondatore, ha scontato sette anni per concorso esterno, e su Berlusconi c’è una sentenza definitiva che dice che ha finanziato Cosa nostra. Questo deve essere rimosso dalle coscienze, soprattutto dei giovani, altrimenti il sistema crolla”.
“Paolo Borsellino sapeva” dei rapporti tra Cosa nostra e il Cavaliere. In un’intervista a giornalisti francesi raccontò che a Milano si indagava su Berlusconi e Dell’Utri, ma raccomandò di non divulgarlo. Aveva capito che sarebbe stata una catastrofe. “Se non fosse stato assassinato, Forza Italia non sarebbe mai nata”.
Sebastiano Ardita è intervenuto sul piano tecnico-giuridico, denunciando una regressione del sistema normativo: “Oggi non è conveniente collaborare con la giustizia. Questo è il vero problema. E se i collaboratori non parlano più, noi perdiamo lo strumento che ha permesso di conoscere l’essenza dei fenomeni criminali, gli intrecci tra mafia, politica e apparati dello Stato”.
“Un mafioso non ha alcuna convenienza a collaborare. Ottiene benefici, scarcerazioni, possibilità di uscire dal 41 bis senza dare alcun contributo. Perché dovrebbe rompere con Cosa Nostra?”. Secondo Ardita, questa situazione riporta l’Italia “al livello normativo precedente alla morte di Giovanni Falcone”. Il nodo starebbe nella nuova gestione dei benefici carcerari:
“Quando manca la prova dell'interruzione dei rapporti attraverso questa ‘acqua fresca’ che è la richiesta di partecipare a giustizia riparativa, quindi il risarcimento del danno, la revisione dichiarata del percorso individuale precedente, si è preteso di provare l’interruzione dei rapporti con l’organizzazione, ecco il cortocircuito. In pratica noi abbiamo situazioni nelle quali rischiano di uscire dal carcere moltissimi soggetti che hanno partecipato a gravissimi reati e sono nella condizione di avere riacquistato la libertà senza avere dato nessun contributo. Quindi perché un mafioso dovrebbe collaborare se ottiene comunque la libertà in queste condizioni?”
Ardita ha criticato duramente anche la proposta di separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, definendola “una propaganda mascherata da riforma costituzionale”:
“Si tratta di una delle offese più gravi all’intelligenza dei cittadini e alla professionalità dei magistrati. Il nostro compito è cercare la verità: se un collega sostiene una tesi che non sta in piedi, il giudice ha ancora più ragione per riaffermare ciò che è giusto”.
La conseguenza sarebbe quella di “legittimare un pubblico ministero sganciato dalla giurisdizione, simile a un politico, preoccupato di comunicare il numero di arresti e di fare carriera invece che di distinguere ciò che serve davvero alla collettività”.
Stessa condanna anche per l’abolizione dell’abuso d’ufficio e le nuove norme sulla custodia cautelare: “Il segnale è chiaro: c’è un obiettivo concreto da raggiungere. E in questo caso l’obiettivo è tutelare una classe dirigente che vuole evitare il rischio non solo del processo, ma persino delle misure cautelari”, “dire che si abolisce la custodia cautelare per risolvere il sovraffollamento carcerario è un inganno”, ha aggiunto, scagliandosi contro l’ipocrisia della politica.
Sul tema del revisionismo, il procuratore ha lanciato un monito commentando le recenti dichiarazioni del figlio di Totò Riina: “La storia è piena di questi fenomeni: il male conclamato viene negato o banalizzato. Ma quando lo Stato è debole, anche la comunicazione distorta prende piede”, “non si tratta di schierarsi per partito preso, ma di difendere i valori assoluti delle istituzioni. Perché rimettere lo scettro in mano a chi ha operato per il male significa tradire la memoria di chi ha pagato con la vita” ha concluso.
Infine è intervenuta Maddalena Oliva, interpellata sul tema delle leggi bavaglio e degli spazi rimasti ai giornalisti per rivelare all'opinione pubblica ciò che emerge dalle inchieste giudiziarie, in particolare riguardanti la cosa pubblica: “il problema è che ci stanno rubando, prima di tutto come cittadini, il diritto di essere informati; stiamo andando verso una situazione di oblio di Stato”.
“Negli ultimi 15 anni stiamo assistendo a un tentativo di limitare i diritti e i doveri della stampa, il nostro circuito democratico è stato fortemente violentato dalla politica”.
La giornalista ha proseguito analizzando le azioni dell’attuale governo: “Attraverso un pacchetto di norme e di provvedimenti ancora in discussione, questo governo sta limitando anche l’attività della magistratura, da una parte concentrandosi sulla tutela dei colletti bianchi, dall’altra a partire dalla legge Cartabia fino alla legge Costa-Nordio che impedisce la pubblicazione dei testi delle ordinanze cautelari”, “i cittadini senza un’informazione dettagliata non possono chiedere conto ai politici delle varie malefatte, è un problema per la democrazia”; “con la scusa del garantismo, del diritto all’oblio e della privacy, è morta la cronaca giudiziaria” ha dichiarato.
L’intervento è proseguito con importanti denunce sull’evoluzione del sistema giornalistico italiano: “abbiamo vissuto decenni in cui il giornalismo era il cane da guardia del potere, il politico coinvolto in una determinata inchiesta si dimetteva e non aveva più coraggio di mostrarsi all’opinione pubblica, ora è diverso”.
Maddalena Oliva ha portato alla luce alcuni esempi rilevanti: Iin Italia un’inchiesta giornalistica come quella sull'ex presidente francese Sarkozy è impensabile. Questo grazie ai grandi gruppi, gestori della maggior parte dei giornali, che hanno creato un sistema di omologazione e innescato un meccanismo di autocensura”, “noi del Fatto ci siamo occupati per mesi, con più di 86 articoli, dell’inchiesta sulla ministra Santanchè, completamente in solitudine, fino a quando la vicenda non è arrivata al grande pubblico grazie a Report di Sigfrido Ranucci, nonostante ciò la ministra è ancora lì!”.
“Abbiamo un governo, che con arroganza e prepotenza del potere, può permettersi di non far fare nessun passo indietro ai propri ministri”.
Concludendo la riflessione, viene lanciato un importante appello: “La politica oggi decide quando, da chi e come farsi intervistare grazie alla nostra tolleranza sociale al malgoverno e alla corruzione. Siamo diventati anemici e abbiamo perso il senso della cosa pubblica, se non andiamo a votare e non torniamo parte attiva, ci meritiamo chi ci governa” ha avvertito.
La vicedirettrice del Fatto Quotidiano ha terminato con un particolare ringraziamento a iniziative e rassegne come “Resistenzə”, invitando a prenderle come esempio per continuare a resistere.