
Ecomafie: un crimine ogni 18 minuti. Trent'anni di illegalità ambientale in Italia

Ecomafie: un crimine ogni 18 minuti. Trent'anni di illegalità ambientale in Italia
Nel 2023, il fatturato illecito delle ecomafie ha raggiunto 8,8 miliardi di euro. Crescono i reati nel ciclo dei rifiuti e nel settore del cemento. Legambiente chiede leggi più dure per fermare l'emergenza ambientale, ma il governo Meloni resta sordo agli appelli
Un reato ambientale ogni diciotto minuti. Sembra una formula retorica, eppure è l'arida verità di un Paese che da tre decenni subisce un'aggressione sistematica al proprio patrimonio naturale: 902.356 crimini contro l'ambiente documentati dal 1995 al 2024, quasi 80 al giorno, tre ogni ora. Un'emorragia che ha lasciato ferite profonde nel paesaggio, nella salute pubblica e nel tessuto della legalità.
Lo certifica Legambiente nel suo ultimo rapporto annuale sulle ecomafie, un documento che più che una denuncia rappresenta una radiografia impietosa dell'illegalità ambientale in Italia. Un'Italia dove le organizzazioni criminali continuano a prosperare attraverso discariche abusive, abusi edilizi e cementificazioni sospette, trasformando la devastazione del territorio in un business miliardario che non conosce crisi.
Nel solo 2023, il volume d'affari delle ecomafie ha toccato quota 8,8 miliardi di euro, registrando un preoccupante +15,6% rispetto all'anno precedente. A trainare questa impennata sono due comparti storicamente vulnerabili: il ciclo dei rifiuti – che comprende smaltimento illegale, traffico transfrontaliero e gestione fraudolenta degli impianti – e il settore del cemento, dove abusivismo edilizio e cave illegali rappresentano le principali fonti di profitto.
Il termine "ecomafie", coniato da Legambiente negli anni Novanta, indica quelle associazioni criminali che hanno individuato nel settore ambientale un terreno fertile per i propri affari illeciti. Si tratta di un fenomeno che ha saputo evolversi e adattarsi ai cambiamenti normativi e di mercato, infiltrandosi anche nei settori emergenti dell'economia verde.
"Un'impresa criminale di proporzioni industriali", ha commentato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, "che continua a godere di troppi vuoti normativi e di controlli insufficienti, alimentando un sistema che fa dell'ambiente la propria vittima designata".
La Campania si conferma tristemente la regione più colpita dal fenomeno, seguita a ruota da Puglia, Sicilia e Calabria. In cima alla classifica delle province troviamo Napoli, con ben 1.315 reati ambientali registrati nel solo 2023. Tuttavia, sarebbe sbagliato confinare il problema al Mezzogiorno: la Lombardia, infatti, si distingue come la regione con il maggior numero di reati nel settentrione, confermando che il fenomeno delle ecomafie si è ormai radicato lungo tutto lo Stivale, adattandosi ai diversi contesti territoriali ed economici.
Nel bilancio trentennale (1995-2024) la conta assume proporzioni da capogiro: oltre 727.000 persone denunciate, più di 224.000 sequestri effettuati dalle forze dell'ordine e un totale di 259 miliardi di euro di fatturato illecito. Un vero e proprio "PIL parallelo" che, se fosse legale, rappresenterebbe uno dei settori economici più floridi del Paese.
Questi numeri raccontano non solo la pervasività del fenomeno, ma anche la sua capacità di evolversi e diversificarsi. Le ecomafie moderne non si limitano più ai tradizionali traffici di rifiuti tossici: hanno saputo infiltrarsi nel settore delle energie rinnovabili, nell'agro-business e persino nella gestione delle emergenze ambientali, trasformando ogni crisi ecologica in un'opportunità di profitto illegale. Nel settore agroalimentare, le organizzazioni criminali operano attraverso il caporalato e lo sfruttamento della manodopera, la sostituzione di prodotti di qualità con imitazioni e le infiltrazioni nelle filiere di rifiuti agricoli e zootecnici. Il boom dell'agri-voltaico – che integra la produzione di energia solare con l'agricoltura – ha attirato l'attenzione delle ecomafie attraverso speculazioni su terreni agricoli per installare impianti fotovoltaici e la gestione illecita dei rifiuti derivanti da impianti dismessi. Particolarmente insidiosa è l'infiltrazione nelle emergenze ambientali e nelle bonifiche, dove le organizzazioni criminali si inseriscono nello smaltimento fraudolento di rifiuti pericolosi derivanti da bonifiche e nella gestione fraudolenta di fondi destinati alla protezione ambientale.
"Non si può più fingere che tutto questo sia tollerabile", ammonisce Legambiente, che ha elaborato una serie di proposte legislative concrete per arginare l'ondata criminale. Un pacchetto di misure che però sembra destinato a rimanere lettera morta nei cassetti del governo.
Il recepimento della direttiva europea sulla tutela penale dell'ambiente rappresenta una priorità assoluta per colmare i vuoti normativi e allineare finalmente l'Italia agli standard comunitari. La direttiva 2024/1203, che dovrebbe essere ratificata entro maggio 2026, introduce nuovi reati ambientali e innalza le sanzioni, ma l'Italia procede a rilento, rischiando di trovarsi nuovamente in ritardo rispetto agli obblighi europei.
L'inasprimento delle pene per i reati ambientali attraverso l'introduzione nel Codice penale di nuove e più specifiche fattispecie di reato costituisce un altro pilastro della proposta. Attualmente, molti crimini ambientali sono puniti con sanzioni irrisorie rispetto ai profitti generati, rendendo conveniente il rischio dell'illegalità. È il classico paradosso del crimine che paga: quando le multe sono inferiori ai guadagni, l'illegalità diventa un investimento.
Un Piano nazionale contro l'abusivismo edilizio appare sempre più urgente: dovrebbe prevedere fondi certi per demolire gli immobili irregolari e attribuire poteri sostitutivi rafforzati alle Prefetture, oggi spesso paralizzate da inerzie burocratiche e resistenze locali. Solo nel 2023, gli abusi edilizi hanno rappresentato il 18% del totale dei reati ambientali, confermando quanto il cemento illegale continui a essere una delle principali fonti di guadagno per le organizzazioni criminali.
Il rafforzamento delle attività di controllo e prevenzione risulta cruciale, soprattutto in relazione all'utilizzo dei fondi del PNRR. I 191 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rischiano infatti di alimentare, indirettamente, circuiti opachi se non adeguatamente monitorati, trasformando le risorse europee in un'ulteriore opportunità per l'infiltrazione criminale.
Il contrasto alle ecomafie non rappresenta una battaglia per ambientalisti intransigenti o magistrati idealisti. È una sfida di civiltà che tocca direttamente la salute pubblica, la qualità della vita e il futuro economico del Paese. "Chi devasta l'ambiente uccide il futuro", scrive giustamente Legambiente. E finché i crimini ambientali continueranno a essere più redditizi che rischiosi, la criminalità organizzata non smetterà di trivellare illegalmente, sversare veleni o costruire dove la legge lo vieta.
Eppure, di fronte a questa emergenza nazionale, il governo Meloni sembra navigare a vista, quando non direttamente controvento. Mentre l'esecutivo si prodiga in annunci sulla "valorizzazione del Made in Italy" e sulla "tutela del territorio", nei fatti assistiamo a un progressivo smantellamento degli strumenti di supervisione ambientale. Il taglio ai fondi per il monitoraggio ambientale, la riduzione del personale degli enti di controllo e il sistematico indebolimento delle normative di tutela paesaggistica raccontano una storia diversa da quella ufficiale.
Particolarmente emblematica è la gestione del decreto "Salva-casa", che di fatto ha sanato migliaia di abusi edilizi minori, mandando un segnale devastante proprio mentre le ecomafie del cemento fatturano miliardi. Come si può combattere l'illegalità ambientale se lo Stato stesso legittima, seppur parzialmente, l'abusivismo? Sarebbe come dichiarare guerra al contrabbando mentre si aprono i varchi doganali!
La premier Meloni, che ama presentarsi come paladina della legalità e dispensatrice di lezioni morali sui social, dovrebbe spiegare agli italiani perché il suo governo resta sordo agli appelli di Legambiente, mentre i clan continuano a macinare profitti sulla pelle della Natura. La contraddizione è stridente: da un lato si invoca il pugno di ferro contro la criminalità, dall'altro si ignora sistematicamente una delle sue manifestazioni più lucrative e dannose. Il paradosso è evidente anche nella gestione delle priorità legislative. Mentre si discute di autonomia differenziata e si modificano le norme sui rave party, le proposte concrete per contrastare un fenomeno, dal valore di 9 miliardi di euro annui, vengono sistematicamente accantonate. È evidente che per questo governo alcuni temi abbiano una rilevanza mediatica superiore alla loro effettiva importanza sociale ed economica.
Trent'anni di dati non mentono: ogni crimine ambientale impunito è una resa dello Stato, ogni ecomafia arricchita è una sconfitta collettiva e ogni giorno di ritardo nelle riforme necessarie è un regalo alla criminalità organizzata, che continua a trasformare il patrimonio naturale italiano in un bancomat inesauribile. La strategia dell'esecutivo appare sempre più chiara: proclami roboanti sui giornali, tagli silenziosi nei provvedimenti. Si parla di "rivoluzione verde" mentre si depotenzia l'arsenale normativo per contrastarla quando è inquinata dal crimine. Si celebra il "Bel Paese" mentre lo si consegna, pezzo dopo pezzo, agli appetiti delle organizzazioni criminali.
Non servono più fotografie del disastro. Serve un cambio di passo! Perché il conto, come sempre, lo pagheranno i cittadini e le future generazioni, eredi di un Paese più povero, più inquinato e ogni giorno sempre più in mano alla criminalità organizzata.