
L’Antimafia sociale a Palermo sfida il silenzio ipocrita delle istituzioni che hanno tradito Falcone

L’Antimafia sociale a Palermo sfida il silenzio ipocrita delle istituzioni che hanno tradito Falcone
All’Albero Falcone una passerella conformista che si dilegua con l’arrivo del corteo di resistenza organizzato da studenti, associazioni e sindacati
Ancora una volta c’è una Palermo che non rimane silente di fronte alle fredde commemorazioni istituzionali che ricordano Giovanni Falcone come una pallida e granitica statua, dal cui riflesso taluni personaggi sinistri della compagine di governo tentano ignobilmente di risplendere all’ennesima ricorrenza annuale.
Il 33° anniversario della strage di Capaci ha visto la partecipazione dei ministri della Giustizia e dell’Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, presenti alla cerimonia di apertura del "Museo del presente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino", organizzata dalla Fondazione Falcone presso Palazzo Jung.
Un clima solenne, anticipato dall’appello di Maria Falcone (sorella del magistrato), che ha annunciato giorni fa di volere un 23 maggio all’insegna del silenzio. Proprio la Fondazione Falcone, di cui è presidente la sorella del giudice, è stata protagonista dell’inaugurazione davanti all’integerrima compagine istituzionale. Solo il silenzio poteva, evidentemente, salvare l’onore dei presenti.
Ma la Palermo sociale non ci sta e ha scelto di onorare Falcone gridando a squarciagola contro le passerelle politiche, per un’antimafia viva, collettiva e intersezionale, che mette insieme la lotta per la verità sulle stragi, la difesa dei diritti sociali e l'opposizione al riarmo e al degrado istituzionale.
Dalle ore 15:00, da Piazza Verdi è partito un corteo di studenti e studentesse che ha riempito le strade di voci, corpi e colori, riportando in vita la lotta di quei martiri che molti vorrebbero onorati solo dalle funebri celebrazioni di circostanza, svuotate di impegno civile.
Ad aprire il corteo, una performance artistica della nostra associazione Our Voice, dove una fittizia Giorgia Meloni si vedeva costretta ad ascoltare, infastidita e indifferente, le rivendicazioni dei cittadini figuranti, che con i cartelloni facevano appello per le “indagini sui mandanti esterni delle stragi”, per “non colpire la libertà di informazione” o per “investimenti sul lavoro, sulla scuola e sulla sanità”. Ovvero, le principali rivendicazioni di questa manifestazione partecipata da duemila cittadini di ogni età.
“Non chiedeteci silenzio – si legge nel comunicato degli organizzatori – perché non taceremo sulle verità emerse nei processi e silenziate dai media, né sulle complicità tra mafia, politica e istituzioni”. Tra i promotori, oltre a Our Voice, il collettivo “Attivamente”, Giovani Cgil Palermo, Libera Next Gen (Libera Giovani Palermo), UDU Palermo, Collettivo Rutelli, Sindacato Regina Margherita e Collettivo Sirio. In totale, ben 50 associazioni hanno aderito all’iniziativa.
Da Piazza Verdi, una scia di musica, balli e cori, lanciati nell’unione di realtà variegate, ha animato le strade di sentire rivoluzionario. Per via Cavour, via della Libertà, fino a raggiungere via Notarbartolo, decine di cori hanno echeggiato tra le strade, talvolta silenti, della città. “Fuori la mafia dallo Stato!”, “Dell’Utri, Cuffaro, noi non li vogliamo!”, “Nordio traditore, non sei degno di Falcone”.
“Falcone, Morvillo, Schifani, Montinaro, Dicillo non sono persone su cui costruire mausolei romantici. Non vogliamo strumentalizzare le loro vite. Vogliamo vivere le loro battaglie nel presente, vogliamo difendere quello che loro hanno costruito, attualizzando la loro memoria in base ai diritti che ci spettano e alle lotte che costruiamo nella militanza di oggi”, ha gridato ai microfoni la fondatrice di Our Voice, Sonia Bongiovanni, ribadendo la volontà di portare in piazza la voce di “un’antimafia intersezionale, femminista e transfemminista, che parta dalle donne e dalle soggettività LGBTQIA+”.
“Questo è un corteo per dire che c'è una parte di Paese che non si rassegna alle mancanze di verità e ai depistaggi istituzionali messi in atto tutt’oggi, che ci dimostrano quanto possa essere scomodo per un sistema di potere, nato da quelle stragi, che piena luce venga fatta”, grida Andrea La Torre di Attivamente, ribadendo che si tratta di una mobilitazione portata avanti anche “contro le guerre, contro il riarmo che toglierà soldi ai servizi di base lasciando spazi alle organizzazioni criminali nei nostri territori; contro, quindi, le grandi opere inutili come il Ponte sullo Stretto che, per citare Don Ciotti, ‘unirà due cosche prima ancora che due coste’”.
Grande denuncia collettiva contro il Dl Sicurezza del governo Meloni.
“Siamo contro il decreto sicurezza e in particolare – prosegue l’attivista di Attivamente – quell'articolo 31 che coprirà con la forza della legge gli esponenti dei servizi di intelligence, perfino per guidare gruppi eversivi dell'ordine democratico e ordinare stragi e attentati: i familiari delle vittime questo lo hanno denunciato e hanno ricevuto il silenzio. E allora noi facciamo rumore!”
Marta Capaccioni, di Our Voice, ha denunciato direttamente la compagine istituzionale che ipocritamente ricorda i martiri della giustizia mentre smantella, pezzo dopo pezzo, tutto il corpus legislativo necessario alla lotta contro la criminalità organizzata.
“Noi vogliamo opporre il nostro grido, il grido di tutta la città, alla retorica degli esponenti di governo che oggi sono scesi da Roma per commemorare ipocritamente Giovanni Falcone. Stiamo parlando del ministro Piantedosi, del ministro Nordio, della presidente della Commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo, rappresentanti di un governo che si sta impegnando oggi a smantellare la legislazione antimafia fortemente voluta da Falcone; ad approvare riforme che favoriscono le mafie e la corruzione dei colletti bianchi; a delegittimare i magistrati che osano indagare il potere; a riscrivere la storia delle stragi con nuovi depistaggi”.
La riforma della giustizia proposta dal ministro Nordio, in particolare l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, rischia infatti di compromettere seriamente la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Si tratta di un reato spesso punto di partenza per indagini più ampie e la sua eliminazione potrebbe far perdere tracce investigative cruciali.
A questo si aggiunge il Ddl intercettazioni, approvato in via definitiva a marzo, che aumenta le restrizioni previste per le stesse a 45 giorni, pur lasciando intatti gli strumenti per i reati di mafia e terrorismo. Come sottolinea il sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del CSM, Nino Di Matteo, spesso da intercettazioni disposte per reati comuni emergono, anche dopo settimane, prove evidenti di legami con il crimine organizzato. Dunque, limitare o ridurre l’uso delle intercettazioni significa pregiudicare, ad esempio, la possibilità di scoprire e indagare rapporti tra mafia e pubblica amministrazione, che sono sempre più pericolosi e diffusi.
E ancora, la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, tra l’altro uno degli obiettivi del progetto di rinascita democratica della loggia massonica P2. Con questa riforma, i pubblici ministeri diventano un corpo distinto dai giudici, con un proprio Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). Un allontanamento istituzionale può indebolire la coesione interna della magistratura e isolare i PM, rendendoli più vulnerabili a pressioni esterne, anche politiche. La riforma giustifica la separazione anche con la presunta frequente mobilità tra PM e giudici, ma i dati mostrano che i passaggi sono molto rari (circa l’1% annuo da PM a giudice e lo 0,3% nel senso opposto), quindi l’argomento è strumentale. Infine, si è criticato a lungo, da più anime del corteo, il tentativo di riscrittura della storia da parte della Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Chiara Colosimo (FdI), concentrata solo su una delle sette stragi, la strage di via D’Amelio, e solo su una delle piste investigative (l’inchiesta mafia-appalti), squalificando a priori quella della trattativa Stato-mafia.
“Noi non accettiamo che in Commissione parlamentare antimafia si stia dando voce ai carabinieri che trattarono con Cosa nostra subito dopo la strage di Capaci. La trattativa Stato-mafia non è una teoria, perché noi le abbiamo lette le migliaia di pagine di sentenze e proprio per questo sappiamo distinguere… La trattativa non è stato un teorema di qualche magistrato, ma un fatto storico che ha segnato la nostra storia, e noi non ce lo dimenticheremo!”, ha dichiarato Marta Capaccioni.
Trattativa che, nonostante il colpo di spugna della Cassazione (che annullò senza rinvio la sentenza d’appello sui carabinieri Mori e De Donno e sull’ex senatore Marcello Dell’Utri “per non aver commesso il fatto”), è stata comunque dimostrata. La Corte d’Assise d’Appello di Palermo nel 2021 aveva infatti riconosciuto che la trattativa Stato-mafia è un fatto storico accertato. Le motivazioni della sentenza avevano evidenziato che la trattativa si sostanziò in una "improvvida iniziativa" di ufficiali dei Carabinieri (Mario Mori, Antonio Subranni, Giuseppe De Donno). I giudici di merito avevano inoltre chiarito che Cosa nostra aveva già deciso di mettere a ferro e fuoco il Paese, indipendentemente dall’interlocuzione con i ROS, ma la trattativa contribuì ad alimentare questa strategia, creando un contesto di ricatto e negoziazione. Durante il corteo è stato ricordato anche questo.
Ma tornando al percorso. All’arrivo del corteo all’Albero Falcone, abbiamo preso coscienza con sgomento e indignazione che il minuto di silenzio delle 17:58 è stato anticipato di 10 minuti in vista del nostro arrivo.
I rappresentanti delle istituzioni hanno abbandonato il palco in fretta e furia, mancando di ricordare il momento esatto in cui Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro furono travolti dal tritolo a Capaci. L’antimafia delle passerelle ha scelto la fuga, tradendo anche la ricorrenza che rivendicava di difendere, pur di non guardare in faccia un popolo che ancora Falcone lo vive gridando e marciando per difendere quelle verità ancora tradite dallo Stato-mafia.
Lo scopo, al di là delle giustificazioni (Maria Falcone si è difesa parlando di errori, smentendo alcuna intenzionalità nella vicenda), era evitare l’incontro con un corteo antimafia popolare, pieno di ragazzi e non solo. Cittadini mossi dalla volontà di ricordare e dall’esigenza di denunciare l’ipocrisia presente alle commemorazioni ufficiali, dove a sfilare, in questi anni, ci sono stati esponenti politici appoggiati da uomini vicini alla mafia o da uomini di governo che stanno smantellando la legislazione antimafia voluta da Falcone e Borsellino. Silenziare una massa di ragazzi pronti a urlare a gran voce che “la mafia è una montagna di merda”, come ci ha insegnato Peppino Impastato, è una prevaricazione.
È un modo di negare spazio e voce a chi crede nella giustizia e nel cambiamento.
Come si può pensare di allontanare la mafia se non si lascia spazio per combatterla?
In un momento storico come questo, in cui far sentire la propria voce sembra sempre più difficile di fronte alle istituzioni, un gesto del genere doveva essere evitato.
Nell’ottica della volontà comune di contrastare la mafia, e di vincere questa guerra, è inaccettabile e offensivo, per chi davvero vuole verità e giustizia, agire così. Rimane l’urgenza di una chiarezza su quanto accaduto.
Foto © Davide De Bari