
Tra omertà e processi inconcludenti tanti casi di pedofilia finiscono nell’oblio. Ong israeliane denunciano: “I pedofili non sono scoraggiati né dalla polizia né dalle sentenze dei tribunali”
Di Patricia Aboal Ojeda e Karim El Sadi
Sulla coscienza di Israele non pesa solo l’accusa indelebile di genocidio. Da anni infatti esiste un’altra macchia: è anche un santuario per la pedofilia internazionale. L’entità sionista presenta gravi carenze nella gestione e nelle indagini sui reati sessuali contro minori, permettendo a delinquenti sessuali israeliani e internazionali di eludere la giustizia.
Questa realtà è in parte conseguenza dalla controversa Legge del Ritorno, approvata dalla Knesset il 5 luglio 1950, che concede agli ebrei nel mondo il diritto automatico di immigrare e diventare cittadini israeliani. L’emendamento del 1970 ha esteso questa facoltà anche ai figli, nipoti e coniugi di ebrei, definendo l’“ebreo” come chi nasce da madre ebrea o si converte all’ebraismo senza appartenere ad altre religioni. Praticamente, la legge facilita l’ingresso nel Paese di persone che, tra cui anche accusati di pedofilia, possono inserirsi nella società israeliana con totale impunità.
Dal 2014, la Jewish Community Watch (JCW) monitora casi di pedofilia e ha documentato che oltre 60 presunti abusatori sono fuggiti dagli Stati Uniti a Israele, numero che potrebbe essere sottostimato causa risorse investigative limitate. La maggioranza dei casi proviene da comunità ebraiche ortodosse e ultraortodosse, ma il problema riguarda anche altri settori della comunità. Spesso le vittime non denunciano per paura o isolamento, e come spiega Seewald, fondatore della JCW, vi è una cultura di protezione verso l’abusatore che permette la ripetizione degli abusi spostandosi tra comunità diverse.
Le testimonianze delle Ong
“In Israele operano decine di migliaia di pedofili ogni anno, causando all’incirca 100.000 vittime annuali” affermava nel 2020 l’Associazione Matzof, che raccoglie le segnalazioni dalla stampa. Solo a luglio di quell’anno sono stati pubblicati 22 casi, ma la maggioranza rimane nascosta.
Eliran Malki, capo dell’Associazione Matzof, denuncia, come riporta Il Jerusalem Post, che i pedofili non sono scoraggiati né dalla polizia né dalle sentenze dei tribunali, che spesso mostrano clemenza verso gli autori a spese delle vittime. Alcuni casi sono stati archiviati o puniti superficialmente, con giudici che giustificano le decisioni per non “danneggiare la carriera” del colpevole, ignorando il numero delle vittime e mostrando un trattamento sproporzionatamente favorevole.
Le statistiche degli ultimi anni sono preoccupanti: il 75% dei delinquenti sessuali viene rilasciato anticipatamente e circa un terzo dei condannati rifiuta i programmi di riabilitazione. Nonostante leggi come quella del 2006 che impongono la sorveglianza sui pedofili, Israele dispone di un dettagliato registro dei delinquenti e di potenti servizi di intelligence (Shin Bet e Mossad) che però non prevengono o contengono efficacemente questo scandalo. Inoltre, oltre il 90% delle denunce di abusi sessuali contro membri delle Forze di Difesa Israeliane (FDI) è stato archiviato senza accuse, rivelando un meccanismo sistematico di occultamento istituzionale della violenza sessuale sui minori.
Secondo dati recenti a livello globale e penetrazione online, la pedofilia gode di un boom senza precedenti, con oltre 2 milioni di video pedopornografici e quasi altrettante foto segnalate sui social network, con una crescita del 220% rispetto all’anno precedente. Questi dati sottolineano come il problema vada ben oltre i confini israeliani, ma Israele si distingue per un sistema che faciliterebbe la circolazione e la protezione di pedofili internazionali.
Inoltre, alcuni casi di rilievo caratterizzano la gravità del fenomeno. Nel 2021, ad esempio, il rabbino charedí Chaim Walder, autore di libri per ragazzi, è stato dichiarato colpevole di abusi sessuali su minorenni da un tribunale rabbinico in Israele: a seguito della condanna, si è tolto la vita. Questo caso ha fornito una dolorosa testimonianza dell’esistenza del problema anche nelle comunità religiose più chiuse.
“Ero convinta che venire qui fosse una promessa da mantenere verso i miei figli, ma non avrei mai pensato che fossero così tanti i casi di abusi nella comunità…”, commentava nel 2022 a L’Espresso Shana Aaronson, direttrice esecutiva di Magen for Jewish Communities, una ong con sede in Israele che fornisce servizi di educazione sessuale e supporto per la salute mentale, oltre a garantire supporto legale alle vittime di abusi. E’ capitato che le vittime si ritrovassero isolate, temute o minacciate, e gli abusi riprendono anche dopo il trasferimento in altre comunità, rafforzando il muro di omertà. Le autorità religiose talvolta usano i regolamenti interni per negare o minimizzare gli abusi, senza cooperare con la giustizia civile.
Rifugio dei criminali negli insediamenti della Cisgiordania
Negli insediamenti della Cisgiordania vivono oltre 700.000 coloni israeliani, in 150 insediamenti finanziati dal governo, molti dei quali considerati illegali dal diritto internazionale. Queste zone offrono rifugio a criminali sessuali, con scarsa interferenza da parte delle autorità governative, anche per mancanza di controlli severi e protezioni efficaci.
Il caso emblematico è quello del colono Uriah Assis, accusato di aver commesso abusi sessuali (tra cui stupro e molestie) su oltre 100 vittime, in maggioranza minorenni, sfruttando vari pseudonimi online per adescare e abusare adolescenti e donne. Questo caso riflette una situazione più ampia di impunità e di mancanza di prevenzione efficace da parte dello Stato israeliano.
Le accuse di abusi e sfruttamento sessuale online e fisico nelle comunità ultraortodosse e negli insediamenti in Cisgiordania sono di lunga data e documentate da diverse organizzazioni e media investigativi. La scarsità di leggi severe, sorveglianza e programmi di riabilitazione rende molto difficile la riduzione della recidiva e la protezione delle vittime, siano esse coloni o palestinesi.
Questa situazione è aggravata dalla natura coloniale che caratterizza lo Stato di Israele, dove il mantenimento e l’espansione degli insediamenti in Cisgiordania rappresentano un prolungamento di una politica suprematista e razzista che, secondo molti, rende incompatibile qualsiasi reale tutela dei diritti dei minori e delle persone vulnerabili nell’area.
Inchieste giornalistiche e rapporti di Ong israeliane delineerebbero un quadro allarmante da cui emergerebbe la presenza di aloni di protezione da parte delle comunità più ortodosse per criminali sessuali che agirebbero con sostanziale impunità, specialmente in Cisgiordania, zone di tensioni e di difficile accesso per le autorità internazionali e israeliane.